Indisposte

“Che vuol dire “indisposte”, avete detto questa parola, vi ho sentite, che vuol dire, sorelle maggiori?”
“Zitto, non gridare, fratello minore, è una parola terribile, non la devi nominare mai mai mai. E’ una parolaccia peggiore di pu, stro, mer, ca, va. Capito? Mai, mai, mai!”.
Questo dicevano le ragazzine Tizianeda e Dada al fratello, più piccolo della prima di due anni e della seconda di tre, quando erano tutti in un’età tra i nove e i tredici anni.
Parlavano di mestruazioni, che allora venivano denominate con quel termine impronunciabile che evocava disastri cosmici per la salute e l’equilibrio delle donne, rinunce apocalittiche, dinieghi pieni di presagi oscuri. Si usava come un codice segreto tra femmine, inaccessibile ai maschi dotati di buon udito, quando pronunciato. Tipo il fratello di Tizianeda e Dada che alla prima occasione di bisticcio, in cui lui si sentì come Cenerentola vessato dalle racchissime sorellastre, lo urlò alle due per le strade e tra le genti, come l’insulto più terribile dell’universo, più terribile di pu, sto, mer, ca, va. “Indisposteeeee, indisposteeee, indisposteeee”.

Trent’anni dopo (circa)

“Quattordicenne ma quando parlate di mestruazioni tra voi ragazzi che termine usate?”
“Che domanda è mamma? Usiamo mestruazioni oppure diciamo che abbiamo il ciclo…”
“Che bel termine “ciclo”, richiama l’universo. E se dico indisposta?”
“Indica che qualcuno sta male”
“Grazie tesoro, in effetti è così”.

Tizianeda

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