Nov
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Ciao Domenico. Quanti, domani? Tredici. Sono tredici, lo so. Tredici anni che ti guardo. Che ti annuso come le lupe, arresa alle ossa che crescono e si allungano, alla voce che cambia, al saluto dell’infanzia. Un ibrido ora. Un ritmo di mezzo. La rincorsa prima del salto.
Ciao Domenico, che ogni anno sono qui, a dirti ciao. Con il rimestio di nostalgia, la risacca muta del mio sentire. Ciao, che l’altro giorno abbiamo parlato in macchina io e te. Che mi hai aperto un pezzo di mondo, quello fuori, che affronti solo, che devi decodificare e attraversare perché, a volte, non ne capisci le logiche. Ti fermi, davanti alle dissonanze dei marchingegni, di questo orologio che è la vita, che cambia il ritmo a ogni istante di lancette. Ciao, che sei silenzioso, riservato, gentile, altrove, un passo in là, sopra gli alberi. Il Barone rampante, che mi fa innervosire, per l’ostinazione dei pensieri. Ciao, che devi imparare a essere più morbido e duttile, quando il mondo fuori ti investe.
Ma fai anche come sai, con quel modo che mi innamora e non mi posso soffermare, di sederti composto e distante. E perdona i miei agguati di abbracci e baci, che a volte ti faccio a sorpresa, come un clown buffo. Perché, sul serio, sarebbe troppo. Sarebbe ingiusto. E tu così ridi e dici “mamma” e io mi scosto e poi ti guardo quando non vedi e dici “ciao”, di spalle, già sopra gli alberi, ad aggiungere tasselli di ore. Le tue.
Auguri Domenico, auguri mio bel ragazzo.