Dic
Dic
Il trasloco è l’incipit di tutte le buone intenzioni, che
finiscono sempre allo stesso modo. Male. Dopo dieci anni, ho cambiato la sede
del mio studio di avvocata. Ho infilato le tristi carte, insieme a forzuti
uomini, in scatole e scatoloni e le ho portate altrove. Poiché sono la trainer di me stessa, mi sto persuadendo che il cambiamento migliorerà le mie
criticità, la mia tendenza al disordine, la mia scarsa attitudine alle azioni
meccaniche, ripetitive, noiose, ma necessarie a produttività ed efficienza.
Olè. Come se poi il trasloco fosse una sorta di reincarnazione, che ogni volta
ti ritrovi una persona migliore dentro un corpo diverso. Invece no. Anche se il
contenitore cambia, sei la persona difettosa di sempre. Però all’inizio lo
sforzo è massimo. Mentre dirigi e operi il traffico degli scatoloni da
sballare, svuotare e ridurre in poltiglia saltandoci sopra come un insegnante
di pilates sudato e lercio, dentro sei già Marie Kondo. Ti convinci così tanto della
trasformazione, che la penna che ogni
tanto usi per vergare di qua e di là, la
riposizioni in quell’oggetto che hai sempre ignorato. Il portapenne. Questo
succede, la prima settimana. Poi ti prende un certo malessere e la penna si
sposta sul tavolo. Poi la porti in giro
per le stanze e la perdi. Poi il portapenne senza penne lo usi per metterci palline
di carta e oggetti non identificati. Poi perdi anche il portapenne e il
problema è risolto.
La verità è che potrò cambiare mille volte luogo in cui diversamente sostare, ma dentro quelle stanze incontrerò sempre me stessa. Benché gli sforzi e le buone intenzioni raggiungano vertici di quasi commozione e tratti di ingenua tenerezza. Quindi, non riuscendo a essere il buon esempio di me stessa, per un miglioramento, confido nella reincarnazione. Perché, ne sono certa, nella prossima vita sarò organizzata, efficiente, allineata, consapevole, disciplinata, ordinata, lucida, giapponese e decisamente noiosa.
Tizianeda