Mar
Mar
La prima volta, di un sentire mutato, è fiorita nel ventre. La seconda dentro una pandemia. Lei, si è presa le ore dello spazio fuori e la geografia di un fiatare che avevo dimenticato, con un seme di spavento e di grazia. Un punto e a capo. La commozione di un altro amare e soffrire. Come la maternità che ha rimestato geografie, confini, il corso dei fiumi, il moltiplicarsi delle stagioni. Un meteorite schiantato nell’utero. Ha regalato annusi allargati. Un mai più come prima. Un inghiottire diverso di lacrime. Da subito. Il pianto di una donna abitata è due, è un raddoppio di fiato, è lo spavento dell’accadimento.
Così la pandemia, ci ha ingravidato i sensi e le ombre. Ci
chiede uno sforzo di attenzione e di gesti, di grazia e tenerezza. Un rimando
di rabbia e rancori. Quando partoriremo questo tempo dal sapore di acciaio, con
le unghie mangiate a furia di nervi, spettinati, piccoli e grandissimi, confusi
e accecati dalla voglia di luce, forse
migliori, uscendo dalle case increduli, lentamente per non perdere gli istanti,
ci guarderemo dentro gli occhi vicini a sentirci. Le punta delle dita
toccheranno lo strazio della mancanza dei corpi, e forse, in quel momento,
capiremo cosa siamo diventati, chi
abbiamo trattenuto davvero dentro di noi custodendolo nel segreto del ventre e
chi invece nel delirio dei giorni lo abbiamo lasciato andare, perché la Storia
ci ha rivelati tutti. E scopriremo che le cose che ci cambiano, sono un parto di vita, che ci restituisce nudi.