Colors

Il tempo si è nascosto negli specchi. Anche io  guardo il mio riflesso, l’immagine si ferma sulla faccia. Invecchierò dentro una mascherina, penso.

Lo spazio si è collassato, si ridisegna, il sotto, il sopra, le prospettive, le strade, le piazze, le parole. I colori sono le spettro di un destino.  Esco dai miei pensieri, entro nel mio spazio abitato.

Agnese è tornata dalla sua casa di universitaria. Le lezioni si faranno a distanza. È qui. Siamo tutti qui nei 90 mq. Spiega la matematica a suo fratello. È tardi, lui studia, lei usa un linguaggio che non capisco. Il linguaggio dei numeri, degli incastri con risultati certi e di un affetto di cellule che loro sanno. Ascolto. Osservo da lontano. È uno spazio e un tempo che posso decodificare questo. Mi quieta. È facile da sentire e vedere.  Fuori il disegno, invece, non mostra i perimetri. È  una macchia scomposta e poco amichevole. “Cosa vedi Tiziana Bianca”, mi chiede il mio psicologo immaginario? Cosa rispondo a questo, mi dico. Io vedo un dito medio alzato. Glielo dico? E se poi pensa che c’ho un disagio?

“Vedo un gattino”, mento. “Hai proprio un disagio” mi risponde scuotendo la testa e scompare.

Vabbè mi corico. Entro nella mia capsula onirica, come il tenente Ripley dopo che ha ammazzato l’alieno. Mi chiedo come faccia a mantenersi figa, salda e con un intimo  Ace candeggina dopo tutto quel bordello. Magari la sogno e glielo chiedo. Ma sì, chi se ne frega. Mi tengo il mio bianco grigioperlato, la mia inadeguatezza, i segni di stanchezza della sera, tanto mica devo ammazzare alieni, io. C’è solo un’esistenza collettiva molto incasinata per adesso, a cui dell’intimo splendido splendente frega ben poco. Ché poi a ben pensarci, io, ce l’ho tutto colorato.

Tizianeda

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