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Ogni anno la mamma vecchietta compra le uova di Pasqua, ai nipoti e alle nipoti. La più grande ha 19 anni, il più piccolo 11. Qualche giorno prima degli acquisti iniziano le consultazioni. Le compro o sono ormai troppo grandi? Latte o fondente? E la grandezza, e la marca e dove? Poi le acquista e le tiene nascoste, come i regali di Natale per i bambini che ancora non sanno che Babbo Natale è la nonna. Le lascia nella stanza buona, il salotto, che tiene chiuso a chiave. Due mandate ma con la chiave nella toppa. Del perché lo faccia da sempre, non ho mai avuto risposta razionale. Dice che si sente al sicuro. Dai ladri che possono entrare dal balcone, anche se abita al quarto piano, le serrande sono abbassate e comunque la porta è di legno solo nel perimetro, per il resto c’è il vetro. Mia madre è così, tra il naif e il realismo magico di chi ama follemente Manzoni, la letteratura greca e noi. I nipoti, le uova, le avranno il giorno di Pasqua, perché l’attesa fa parte del rito.
Anche la mia nonna faceva così, la nonna Bianca. Uova di Pasqua anni ’70 e poi ‘80. Non ricordo quanto grandi fossero o se il sapore fosse migliore. Ricordo il rumore della carta che le confezionava, lo stesso delle uova di oggi. Come quello della carta delle caramelle, ma più importante. Perché ci sono cose che non cambiano, a dispetto di un mondo mutevole e tragico. Che vanno oltre il gesto ripetuto di anno in anno, di generazione in generazione, fino ad assumere la consistenza di una tradizione intima, che ci riporta all’infanzia, al luogo del tutto è possibile e della fiducia cieca e riposante. Come la fiducia della mamma vecchietta nella stanza che custodisce le uova, nascosta al mondo da una porta fragilissima, da una chiave che rimane nella toppa e che basta girarla due volte per entrarci. Un po’ come i bambini che per giocare a nascondino coprono la faccia con le mani, ma lasciano scoperto tutto il resto. E ti tocca crederci che in quello spazio visivo, sono davvero altrove, invisibili al mondo, fino a che non ritornano, mostrandoti gli occhi e la felicità del gioco, la loro sorpresa di stare tra le cose, ancora.
Tizianeda