Ott
Ott

Quando ero bambina, faceva prove tecniche di morte e di resurrezione. Mi schiantavo, sentivo dolore , chiudevo gli occhi e sparivo. Neonata piangevo con teatrale parossismo e il mondo si fermava. Andavo altrove, il tempo di riprendermi dal troppo. Negli anni mia madre, aveva acquisito l’impassibilità di Socrate con il bicchiere di cicuta in mano. Rassicurava gli astanti non abituati ai giochi di prestigiazione della mia mente. “Non vi preoccupate, fa sempre così, poi torna”, come se fosse un colpo di tosse. E in effetti non l’ho mai delusa mia madre. Tornavo, sempre. Poi ho perso i super poteri dello svenimento infantile corredato di zucchero al risveglio e invece di tele-trasportami, sognavo, per noia. L’altrove era meglio della sequenza dei giorni. Sogni banali, per una bambina senza grandi talenti, che però trovava ingiusto che si morisse nella vita, o che succedessero le infelicità e altre drammatiche faccende umane, che subiva il fascino tragico delle storie di Buzzati o di signori come lui, che la maestra faceva leggere a scuola. Perché nel libri puoi morire, ma poi ne prendi un altro e vivi un’altra storia.Ora non so perché mi è venuta in mente questa faccenda di morte e resurrezione. Sarà che è settembre, che è il mese inventato dagli umani per avere un pretesto di malinconia. O perché ho scattato una foto alla mia faccia e ho visto il naso di mia madre. Si cresce con dentro i volti dei genitori, che il tempo partorisce su quello di noi figli. O perché penso spesso a quella bambina che aveva trovato il suo modo personale di costruire nidi sugli alberi, per sottrarsi al caos che si muoveva sotto. Quella bambina che ancora oggi, a volte, mi fa dannare e mi invoca dal sottosuolo e che devo tranquillizzare raccontandole storie di meraviglia, di morte e resurrezione. Allora le dico di resistere, almeno per il gusto di vedere, un giorno, non solo i cambiamenti e i colpi di teatro della vita, ma anche il materializzarsi, come un gioco di prestigio, del naso di sua madre sul suo volto.
