Circle game

“Magari ci incrociamo” le ho scritto, quando il pullman si dirigeva verso Cosenza, mentre in macchina tornavo a casa, dopo essere stata tre giorni altrove. Ho iniziato a guardare la corsia che procedeva in senso opposto al nostro, con la concentrazione di quando, da bambini, fissavamo un oggetto, sperando che il pensiero lo facesse levitare fino a noi. Cosa che, credo, non è mai accaduta. Poi è successo un piccolo miracolo, come ne avvengono, a volte, nella vita, di cui non sempre ci avvediamo, presi come siamo a guardare altrove. La macchina e l’autobus si sono incrociati nel punto più vicino possibile, lungo una deviazione che costringeva al senso doppio di marcia. Ed è stato come la scena di Matrix in cui il mondo rallenta, dentro un paradosso spazio temporale numinoso e ti senti un rimestio in cui pensi che deve essere quella la felicità. È un attimo che riconosci e afferri, il granello che si perde nella vastità e ugualmente la contiene. Così l’autobus su cui viaggiava Agnese, la figlia ventenne, è passato accanto all’auto, e anche se non siamo riuscite a vederci osservare la strada per indovinarci, sapevo che era lì e mi bastava. Un istante, spezzato dalle corse in direzioni opposta, in cui ci siamo incastrate, come quando, neonata lei, minuscola io, dormivamo raggomitolate l’una all’altra. E so che in questo combaciare c’è già lo strappo e la separazione che ci commuove e confonde. Ché la vita è una roba assurda e senza senso, in cui a volte guardi la strada come un’adolescente innamorata, le stagioni continuano ad alternarsi e tutto gira e gira nel gioco del cerchio, come le cantavo mentre, nascendo, si separava per la prima volta dal mio corpo, rimanendomi dentro.

Tizianeda

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *