Il coraggio del quasi

Quando da bambini, Agnese e Domenico, i miei figli, mangiavano le polpette al sugo di nonna Gina, sperticandosi in complimenti iperbolici per quel sovraffollamento di ingredienti e sapori,  credevo che entrambi un giorno, ritrovandoli o semplicemente ricordandoli,  sarebbero ritornati a un qui e ora felice, carburante necessario, nel tempo in cui, abbandonata l’infanzia, ci si deve districare nei labirinti della vita.

Mai avrei pensato tuttavia, che Agnese, oggi ventenne, avrebbe lei cucinato le polpette, il giorno di  Natale, per un solo commensale. Che lo avrebbe fatto in una geografia lontana i cui abitanti sono dediti alla sobrietà culinaria, cosa alquanto difficile da comprendere per chi viene da una Nazione basata prima ancora che sul lavoro, sul cibo. Se in Italia mangiare a Natale (e non solo) è un mantra, in Olanda, dove si trova in questi giorni Agnese, mangiare durante la vigilia di Natale è sì un rito esistente, ma sobrio e indolore, che inizia alle sei del pomeriggio, alle otto sono tutti a casa e lì ci restano anche il 25. Così Agnese – che pare abbia preso un po’ troppo sul serio l’invito genitoriale di sentirsi cittadina del mondo, fidanzandosi con un  ragazzo metà olandese e metà caraibico –  il 25 dicembre ha preparato una pietanza con dentro il desiderio di riportare dal passato, come in una seduta spiritica,  un ricordo felice, per poterlo condividere con chi in quella parte di vita non c’era, né nei giorni né nei pensieri. Lui dal par suo le cucina cibi speziati ed esotici, che gli ricordano l’infanzia delle isole che, sebbene lontane, sono intrecciate alla sua memoria.

Agnese ci ha scritto che le polpette erano quasi uguali a quelle della nonna ed era felice, lasciando a quel “quasi” ogni possibilità di miglioramento, ma anche identitaria e personale, mostrandoci in un video  il prequel di una pentola sul fuoco e macchie di pomodoro sparse per il fornelli, a rinforzare la gioia caotica e disordinata di un amore giovane.

Quanto a me che ho i pensieri iperattivi e il bisogno di collegare i punti dell’esistenza, per non lasciare che mancanze, lontananze, tempi perduti e improvvise malinconie mi sovrastino, osservo la continuità di una narrazione partita da lontano come una linea verticale, che da una cucina anni ‘60, minuscola Itaca familiare,  all’improvviso si espande, rivolgendosi a una vita da esplorare e assaggiare, da contaminare e da cui farsi contaminare. E pazienza se lì, in Olanda,  il cielo è  nuvoloso e grigio e qui l’azzurro è  antico e l’aria ha una  luce che ti avvinghia e se la vita, come le polpette, si muove in quel “quasi”, in quel raggiungimento che lascia spazio alla possibilità della trasformazione e del coraggio e si affida alla pazienza di più vite.

E mentre penso ad Agnese lontana e a cosa l’anno che verrà potrà raccontarci, preparo la carne alla Genovese, che non appartiene alla tradizione familiare, non arriva da ricette lontane, ma semplicemente mi piace e piace a tutti. Nel prepararla penso a un qui e ora sereno, che chissà, forse un giorno qualcuno proverà a riprodurre confrontandosi con il coraggio e la trasformazione del quasi.    

E che quest’anno sia buono o quasi per tutti e tutte noi 💫

(Nella foto Olanda 2016. La ragazza sul ponte è Agnese)

Tizianeda

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