E tutto il resto

Qualsiasi cosa la donna faccia, come diceva Gaber, sbaglia.
Sbaglia se e come prova dolore, sbaglia se e come gode, sbaglia quando partorisce, o peggio quando si lamenta poco, troppo, su, giù e bla bla bla.
Eppure l’esistenza e chi la attraversa sono multistrato, multiforme, complessi.
I dolori mestruali, per esempio.
Il mondo femminino si muove dentro le tumultuose diversità tra i due estremi di chi ne soffre al massimo dei decibel e chi no.
Tra chi, anche in quei giorni lì, può gettarsi da un aereo con un paracadute, fare bungee-jumping, triathlon, la traversata dello Stretto, il discorso della vita, la gara di braccio di ferro, la spaccata, tuffarsi nei mari ghiacciati del nord e chi con le budella attorcigliate, vorrebbe attingere a tutto il repertorio delle imprecazioni, ma non gli esce il fiato, perché dentro l’utero ha l’occhio di Sauron infuocato che balla la Macarena.
Io morivo una volta al mese, mia sorella no, perché nella distribuzione della dismenorrea, parola inopportuna per quanto è brutta, il padreterno fa un po’ come gli pare. Però a scuola ci andavo uguale, a meno che non entravo in uno stato di pre-morte e, tra una interrogazione di greco e una lezione di filosofia, l’estrema unzione non è cosa buona e giusta. Non ci si poteva lamentare più di tanto, e si cresceva con l’idea che la donna essendo progettata per il dolore, non poteva stare lì a menarsela troppo e se lo faceva era una rompicoglioni.
Anche sul fronte del piacere non stavamo messe benissimo.
Per gli uomini il climax sembrava un fatto così lineare, ordinario, uni-narrativo. Noi nei secoli ce lo siamo dovuto conquistare e una volta conquistato abbiamo iniziato a ragionare e una volta iniziato a ragionare ci hanno ossessionate con la ricerca del Grande Punto, come fosse la raccolta per le tazze del Mulino Bianco.
L’apoteosi giunge con il parto, il tempo dei consigli non richiesti e della irraggiungibile figura mitologica di cui si parla negli ospedali, Miss Puerpera dell’Anno, quella che dopo aver sgravato, si alza, torna in stanza sorridendo, salutando e benedicendo e senza neanche un accenno di emorroidi. E anche qui il padreterno…
Dei miei due parti non ho ricordi memorabili o originali. Le solite cose: dolore, sangue, le troppe visite e tanta stanchezza. Affrontato emotivamente male il primo, buona invece la seconda, perché ero ormai pronta e sgamata e la stanchezza si era cronicizzata da più di tre anni.
Oggi se vedo donne partorire in tv piango senza ritegno, mi sale un’emozione di chi quella roba l’ha vissuta e le si è sedimentata dentro. Sarà che allora non c’era il tempo per fermarsi ed elaborare, o sarà che come la morte, la testa che sbuca tra cosce insanguinate è il grande mistero dell’esistenza, o sarà stato l’amore nel frattempo. Anche se si nasce e si muore dalle origini, o forse proprio per questo. In fondo, continuiamo a essere i viandanti che cercano le costellazioni per orientarsi e in certi momenti ci sentiamo soli e tutto ciò di cui abbiamo bisogno è di essere ascoltati e visti, come in un cambio di prospettiva celeste. Come quando succede il dolore e il piacere e tutto il resto.

Foto Cristina Carbone

Tizianeda

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