Ovunque proteggi

Alla nonna Ines, a volte, apparivano i santi, quelli importanti. Lo facevano quando aveva molta paura per qualcosa o qualcuno e tutto sembrava perduto. A volte i santi la rassicuravano, altre volte invece le spiegavano che per quella cosa lì, non potevano farci niente. Come a confessare un’impotenza loro davanti alla vita.
La nonna Ines toglieva il malocchio, con una formula magica, un piatto pieno d’acqua e l’olio. E faceva come i santi. A volte ci riusciva e a volte no. Come se il disegno che si formava sull’acqua avesse a che fare con il caso e l’incontrollabile, una metafora acquatica e perimetrata della vita, insomma.
La nonna Ines cucinava torte e aveva il diabete, le piaceva vivere e sentirsi felice, ma quando è arrivato il momento di andare lo ha capito, e senza troppe storie ha benedetto i figli, il marito e i nipoti e ha chiuso gli occhi. Così ha iniziato ad abitare i sogni dei vivi, perché se sei maga devi saperle fare queste cose. Dopo la sua sparizione dalla terra, è venuta a trovarmi, avevo nove anni. Mi fece uno strano segno sul petto e mi disse che mi avrebbe protetta sempre. Io le ho creduto, perché i sogni mi piacevano anche allora e mi raccontavano le cose non ancora accadute. A un certo punto, però, ho pensato che mi avesse imbrogliato e sono stata, per molti anni, arrabbiata con lei. Poi un giorno, ho pensato che i morti non possono parlare come i vivi e non mentono e non ingannano, ma dicono il vero, secondo lo sguardo diverso che la morte offre. E allora ho capito che come i santi in cui lei credeva, non poteva impedire inciampi e dolori, precipizi e ferite, attimi di sperdimento e di incomprensibile, di quelli che fanno sentire il rumore delle ossa. Mi ha detto altro, il nostro segreto futuro, e quando, molti anni dopo, l’ho capito, mi sono sentita forte come i sopravvissuti. Poco prima della pandemia, sono andata in visita da zia Maria, che ora abita i miei sogni insieme agli altri, con un’agenda e una penna in borsa. Le ho chiesto se mi dettava la formula magica di sua madre, la nonna Ines. Non era Natale, come si conviene per queste tradizioni tramandate, ma un giorno qualsiasi. Non mi importava. Mi interessava avere le parole di mia nonna e delle sue e mie antenate, perché dei morti quello che ci resta sono le parole e io non avevo abbastanza anni per accumularne tante quando è andata via. La zia Maria mi ha dettato il rito magico, che custodisco nella mia agenda rossa, come se la nonna Ines lo avesse lasciato proprio a me, al mio amore per la vita e anche ai miei disastri interiori. Ovunque proteggi, nonna, le dico, quando mi sembra di osservare un cielo senza rotta. Oppure leggo la sua formula, immaginando la sua voce che amava la vita, di cui ha accolto l’incontrollabile, proprio come ha chiesto a me di fare, quando avevo nove anni e ancora non sapevo le cose accadute.

Tizianeda

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *