Mar
Mar
Quando ero bambina e il mondo che mi entrava dentro lo decodificavo con strumenti primitivi e una intuizione istintiva, restavo bloccata davanti all’incomprensibile. Ancor più se quell’incomprensibile si sfamava di logiche e architetture che in qualche modo provocavano ferite, dentro comportamenti di cui non capivo il senso. La crudeltà da chiunque provenisse era un canto stonato. Non ne capivo la genesi e inciampavo davanti all’incapacità di alcuni, di vedere lo specchio di noi che l’altro ci offriva. Mi chiedevo, crescendo, cosa interrompesse quel flusso tra noi e l’altro, quali moti interiori avviassero quel processo di scarnificazione dell’umano. Come quando si disidrata un cibo, si toglie l’acqua, anima di ogni cosa vivente. Così l’orrore si manifestava dentro codici e alfabeti che lo assolvevano e non mi capacitavo per le parole pronunciate, non allineate con la gravità dei fatti.
Ho pensato a tutto questo e a molto altro in questi giorni, in cui alla ferita delle morti in mare davanti le coste di Cutro, si è aggiunta l’offesa di chi governa questo paese con cecità, come quella descritta da Saramago nel suo libro. Ho osservato la postura, lo sguardo, i toni del ministro dell’interno, che dalla certezza dei suoi pensieri espressi nell’educazione borghese di un abito ben cucito, rimproverava i genitori che si erano avventurati con i figli in quel viaggio pericoloso, la loro irresponsabilità, utilizzando la retorica della colpa e censurando il dramma reale dietro quel fuggire. Sono tornata, nell’ascoltarlo, bambina ferma davanti all’incomprensibile, alla disumanizzazione del verbo e del sentire, con la percezione che in quelle parole, vi sia la tragica visione di chi, dentro una vita appianata, non usa lo sforzo di superare le proprie linee di confine, anche se, ciò che accade oltre, urla a tal punto che non ascoltarlo è criminale. Oppure c’è una logica politica drammatica, di dissuasione dell’umano, di cancellazione di ogni tentazione di misericordia, perché un popolo senza il sentimento della pietà e della realtà, deraglia verso la rabbia per nemici costruiti in laboratorio, mentre il mare offre il suo olocausto su cui è meglio chiudere gli occhi. O è solo un rimbalzo di disumano tra chi ci governa e chi non si sofferma, in uno sfamarsi canceroso reciproco. Non lo so, davvero non lo so, ma so che, in questi giorni, ho sentito quel dolore al costato, quello spezzarsi di ossa, di chi, ancora una volta, guarda il volto dei giusti coperto da un sudario bianco.
Tizianeda