La cucina

Mia sorella l’abbraccia, come non ha mai fatto con me quando eravamo ragazze. È la sua prima nipote del resto, anche se ora ha ventuno anni. Lei si lascia andare. Le piace prendere il caffè dalla zia, dopo pranzo, quando è qui. Ci ritroviamo in cucina. È sabato. Il giorno dopo sarà Pasqua. La zia apre le ante della dispensa. Tira fuori biscotti e cioccolata. “Mamma perché noi non abbiamo tutti questi dolci a casa?” “Perché ce li mangeremmo in un giorno”, le dico staccando pezzi di cioccolata uno dopo l’altro da una barretta. Mentre mia sorella prepara la macchinetta del caffè, arriva sua figlia, di quasi diciotto anni. Apre il frigo e prende altra cioccolata. “Ma come minchia fate a essere tutti magri in questa casa?”. Mia sorella ride. Devo avere un metabolismo di seconda mano. Beviamo caffè e chiacchieriamo. Agnese, mia figlia, racconta, ha i suoi rimestii dell’anima. Sa cosa le diremo, ma le parole benevoli, come l’amore, hanno bisogno di ripetizione. Sofia ascolta, poi notiamo le sue unghie con lo smalto nuovo. Sono belle le diciamo io e Agnese, molto belle. È un respirare felice. Una tregua senza l’interferenza del male, dei giorni, della fatica, di ogni incomprensibile che stanca, delle cose da decidere o incastrare o lasciare che siano. Il tempo è fermo. La stanza profuma di cioccolato e caffè, ci sono le voci della ragazze, è un affaccio di grazia. Anche le antenate sono nella stanza, fanno cerchio attorno a noi. Bianca e Ines, le nonne, ci sorridono vicine, le prozie Lena e Lulù sono sedute sulle sedie vuote, annodano coperte con l’uncinetto. C’è la bisnonna Teresa, silenziosa e tutte le altre che non sappiamo. Ci ascoltano. La stanza gira, le risate si confondono, ci intrecciamo, facciamo una coperta di parole, vorticose ci solleviamo in un girotondo. Il mondo è ben poca cosa da quella stanza dove si accomoda la luce del giorno. Poi tutto ritorna come prima. Dobbiamo andare. Le antenate si dileguano. Sofia si avvia verso la sua stanza, noi alla porta di ingresso. Mia sorella abbraccia ancora Agnese, lei si abbandona. Ha il pigiama di suo fratello addosso. Le chiedo di abbracciare anche me, rivendico il mio ruolo di sorella minore che è stata bambina. Lo fa. Se non risorgo nella notte Pasquale, almeno so che c’è la cucina di mia sorella dove tornare.

Tizianeda

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