Sento un dolore

Guardo le piante della signora Pina appassire. Le guardo dalla finestra dello studio, che si affaccia a piano terra su una stradina privata. Sembra di stare in un paese. Di fronte c’è un palazzo liberty. Al piano di sopra operai di tutte le nazioni ristrutturano un appartamento. Ci sono affreschi alle pareti. Anche sul tetto c’erano, ma sono stati coperti. Ho sentito un dolore. Al primo piano abita la signora Pina che non vedo da settimane. Un giorno, mentre stavo affacciata cercando tregua in quell’angolo, nascosto al disordine della città, ho visto il figlio uscire dal palazzo. O almeno ho capito fosse lui. Aveva l’aria gentile e quel modo lontano di muoversi di chi in città non abita più da molti anni ormai. Gli ho chiesto di sua madre, gli ho mostrato i vasi sul mio davanzale, regalate da lei, la mia vicina colorata come un unicorno, con gli occhi di un furetto e il corpo accartocciato come quello di mia madre, ma con ancora più anni vissuti. È in una struttura la signora Pina, sta male, ha bisogno di cure, loro, i figli, sono lontani e preoccupati. Lo avevo capito dalle piante, che vedo, ogni giorno, sempre più prosciugarsi, cambiare colore, farsi piccole.
Come la signora Pina, penso. Ogni giorno mi dico: scriverò ai figli, per chiedere se posso occuparmi delle piante. C’è una fontana sulla strada e dei contenitori di detersivi riutilizzate per l’acqua. Ci sono le calle e i nastrini e altre piante di cui non ricordo il nome. Mi guardano dalla parte opposta della strada. La signora Pina, una volta, una calla la lasciò sul mio davanzale, perché la trovassi il giorno dopo. È fiorita quando è nata Vittoria, la figlia di un’amica che aspettavamo come le novità delle stagioni. Lo sentivo che sarebbe nata nel giorno della fioritura. L’ho detto a Pina. Questa calla è di Vittoria ora. Lei ha confezionato il vaso con una carta che sembrava dell’uovo di Pasqua o un vestito da unicorno, come lei.
Intanto – in questo girotondo delle vite, in questo affaccio dalla finestra alta di luce, con la sua fila ordinata di nastrini sul davanzale, che mi ricordano i giorni di un’infanzia consolata dallo sguardo magico dei pochi anni, che mi ricordano la mia nonna, il suo balcone e il paese da cui veniva – guardo le piante della signora Pina appassire e sento un dolore.
Oggi scrivo al figlio.

Tizianeda

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