Vacanza

In vacanza partivamo con la 127 verde, l’auto di ferro con i sedili ricoperti di stoffa sintetica che arroventava le cosce. A luglio dalla città seguivamo la costa Jonica, dove il clima era africano, lungo una strada  immutabile che sembra allungarsi per la torsione della luce. Sul tetto della 127 verde mio padre agganciava il porta-bagagli. Sul porta-bagagli stavano le valige, trattenute da cinghie elastiche, che contenevano la casa. Sull’auto mio fratello si sedeva nel mezzo, tra noi due sorelle, per la legge del più piccolo che subisce. Appena iniziato il viaggio verso la casa al mare in affitto, giocavamo  e sudavamo, perché dietro non  c’erano i finestrini se non una fessurina inutile sempre chiusa, per imposizione di mia madre, con la fobia  delle correnti d’aria che fanno ammalare, anche se poi rischiavamo l’asfissia. Ad agosto, dopo un mese di mare che mi innestava malinconie, si andava a Fiuggi per curare le pietre  di nostro padre. Partivamo alle 5 per evitare il caldo, con sveglia alle 4 che ti precipitava  nella vaghezza del  disagio esistenziale. Sulla vettura, alle 7, il caldo si accomodava tra di noi e i finestrini chiusi.

A Fiuggi alloggiavamo in una pensione dove si mangiava bene e i proprietari avevano tre figlie femmine. 

A volte i proprietari, marito e moglie,  litigavano, fino a che un giorno il marito ha fatto le valigie ed è andato via per sempre. La vita della pensione  è continuata con gli stessi ritmi di prima, anche se la cucina Siciliana di lui mancava a tutti, ma nessuno osava dirlo. Negli anni a venire, a Fiuggi io e i miei fratelli non ci siamo andati più, e i miei partivano soli. Fiuggi nei ricordi è un luogo verde  e lontano, come certe storie che appaiono nei sogni e i personaggi si affacciano all’improvviso da uno spazio opaco. Il mare d’estate  continua a rendermi inquieta, come quando ero bambina e dopo dieci giorni di troppa spiaggia e sole, sentivo che mi doleva  l’anima.  Oggi nel mese di agosto vado in montagna per distanziarmi dalle dissonanze  dell’anno trascorso, provare a conciliarmi  con la parte di me più umana e insopportabile e poi lì, così in alto, non sudo.

Non c’è più da un pezzo la 127 verde e non c’è più quel mondo a cui penso a tratti, ma senza nostalgia.  Oggi l’auto  con cui viaggiamo è bianca,  ha i finestrini e se fa caldo c’è il sistema di areazione. I figli quest’anno non verranno in montagna, e li capisco. Intanto li sogno ogni notte, sono piccoli, nel tempo in cui non mi dovevo ancora confrontare  con la vastità del mondo che li aspetta. Ma i miei sogni sono ugualmente abitati da paura,  precipizi e animali. Anche per questo vado in montagna, perché da lì il mondo mi sembra raccolto e poi c’è silenzio. È  una tregua per prepararmi al ritorno, al richiamo fortissimo dei giorni, alla inadeguatezza per i passi di valzer falsamente facili che la vita ti chiede, per prepararmi al questo e al quello delle mie moltitudini e renderle simpatiche persino a me stessa.

Tizianeda

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