Ancora cado

“Tiziana cosa ti sei fatta al ginocchio?”
“Sono caduta, mamma”
“Ma perché, tu ancora cadi?”
Sì mamma, ancora cado, mi sbuccio le ginocchia, sento male dove c’è la ferita, non piango, mi tiro su a fatica, c’è una mano che si tende, so chiedere aiuto, faccio la spavalda tuttavia, mi disinfetto sola, con circospezione, anche perché la memoria dell’alcol strofinato dalle madri, non si cancella più. Non lo so se il dolore si sopporta meglio alla mia età, se cambia solo la postura interiore, se si sta dritti sul male sentito, per educazione dell’anima o boh. Non c’è più nessuno che soffia sopra la carne aperta e sanguinante, l’ho fatto anche io con i miei figli, come un gesto tramandato. Era caldo e riposante quel soffio, era principio di cura. I cerotti li uso ancora, ma poi li tolgo, le ferite se si coprono troppo non si rimarginano. Resta il segno, pigmenti più chiari, atolli disabitati in mezzo alla mia pelle d’acqua. Zoppico dopo la caduta, non subito, ci vuole la notte in mezzo. Continuerà a far male a distanza di molti anni, lo so, quando cambierà il tempo. La caviglia rivela le stagioni, è la statuina tamarra e glitterata, venduta sui camioncini agli angoli di strada, che cambia colore se arriva la tempesta. Ho la copia de La Pietà di Michelangelo o Il David di Donatello in versione stroboscopica, tra la tibia e il perone.
Certo che cado ancora mamma, non c’è un’età per non cadere, per non ricordare come l’equilibrio ha i connotati dell’imperfezione. Stando a terra il mondo si rivela, è l’altezza dei bambini, quando ancora non sai quanto il nostro fare adulto sia delirante e il male è solo un ginocchio sbucciato. In fondo si sta bene lì seduti sull’asfalto che ti ha scartavetrato la pelle. Vien voglia di riposarsi, anche di arrendersi. È uno stare sulla soglia, non come il tempo degli indecisi, ma come il tempo di chi è stanco.
Poi mi sono alzata però, mamma. Altrimenti che fai. Cammini con il ginocchio che sanguina, dando il braccio a chi ti è accanto, fai due battute idiote, rallenti a rivendicare un momento solo tuo. Ti resta addosso ancora per un po’ quel senso vago di improvviso, di imprevisto che accade inaspettato, mentre guardi altrove o sorridi o chiacchieri.
E allora sì, mamma ancora cado. Lo vedi da questo grumo rappreso di sangue, mentre sotto, le cellule, in silenzio, si riorganizzano ricomponendo la memoria della carne.
Perché ancora cado, mamma, ancora mi rialzo.

{La foto di Fabio Orlando è uno scatto di qualche anno fa. Mi piace perché sto in bilico, ma qui non cado. E poi faccio la cretina, come al solito}

Tizianeda

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