Giu
Mia madre perde i suoi cappelli ovunque. Sulle panchine, nelle chiese, in edicola, nelle botteghe, dal fioraio, le scivolano sui cigli della strada. Quando succede, chiede. Al parroco, all’edicolante, agli amici delle panchine, a tutti noi della famiglia, ai fiori, al salumiere, ai cigli delle strade, a Gesù, alle mattonelle dei marciapiedi, ai ciuffi d’erba che spuntano dalle crepe, alle fotografie dei morti, ai davanzali, ai passeri, alle signore affacciate ai balconi. Mia madre e i suoi 92 anni, che l’hanno accartocciata e le fanno sentire i dolori delle ossa, non smettono mai di cercarli. Alcuni cappelli si perdono per sempre, come se scappassero in un mondo segreto e felice, dove poter vivere liberi dalle teste. Gli altri fuggitivi, invece, vengono ritrovati dagli abitanti del quartiere, che ormai conoscono gli smarrimenti di mia madre.
Anche ieri mattina ne ha perso uno, lo teneva in mano, io e mia sorella eravamo con lei. È stata Bianca a trovarlo, la nipote. Quando lo ha portato a sua zia, per festeggiare, lei le ha offerto il Cynar, l’amaro contro il logorio della vita moderna, ha fumato una sigaretta e si è goduta quell’attimo di tregua prima che svanisse, come i cappelli e ogni cosa che sembra immutabile e non lo è. Perché smarribili sono gli ombrelli, smarribili i ventagli, le penne, i calzini, così certi amori, le amicizie, alcuni ricordi, il giorni della settimana, il perché delle canzoni che ci hanno portato altrove, così le direzioni, i desideri, il per sempre, la vita di prima, le illusioni del tempo, i luoghi che non riconosciamo più, il piacere che un libro ci ha dato, i nomi pronunciati e poi sostituiti da altri.
È un grande accumulo di oggetti perduti la vita, come i cappelli, finiti chissà dove, di mia madre. Eppure in questo brulicare di umano che a tratti sembra confuso e senza direzione, c’è una ricerca di inaspettato e di tregua, la nascosta tenerezza dei naviganti che aspettano le stelle, come cercatori di briciole di pane lasciate da altri sulla strada, che tracciano involontarie rotte, in quella dimensione di mistero che le fa trovare e in qualche modo ritrovarci.
{La foto è stata scattata da Bianca, mentre mia madre, nonché sua zia, contrastava il logorio della vita moderna}
Tizianeda