Giu
Giu
Il giorno in cui indossavo una brutta camicia da notte gialla e una bambina sostava indisturbata da circa sette mesi dentro la mia pancia, ho conosciuto il dottore D’Ascola. Ero in ospedale, la bambina accomodata tra i miei organi interni e che sarebbe nata due mesi dopo, si chiamava Agnese da qualche ora, i miei globuli rossi erano in agitazione sindacale, il dottore non sembrava preoccuparsi del mio dress code ospedaliero, che certo non giovava al mio incarnato anemico. Il dottore D’Ascola che di sangue se ne intendeva, abituato com’era ad affrontare situazioni ben più gravi della mia, mi spiegò, con l’aria serafica di chi fa del lavoro una vocazione e dell’umano un orizzonte da non perdere di vista, che, per eliminare quell’affanno da scalatore scarso bloccato sull’ Himalaya, avrei dovuto ricevere delle trasfusioni. La notizia mi fece apparire la camicia da notte gialla ancora più brutta, anche se il sorrido calmo del dottore D’Ascola era qualcosa di buono cui aggrapparmi.
Quando per la prima volta andai nel reparto di Microcitemia che lui dirigeva, c’erano ragazze e ragazzi, trasfusi dalla nascita. Lui li conosceva tutti e tutte e di tutti e tutte mi elencava con orgoglio gli ostacoli superati, i traguardi raggiunti, la forza, nonostante quella intercapedine che condizionava il quotidiano.
Anche per il secondo figlio ho avuto bisogno di supporto ematico, ma per fortuna, la brutta camicia da notte gialla era sparita da tempo.
Quando incontravo per strada il dottore D’Ascola , lo salutavo come un familiare di cui ci si fida, o come le persone gentili che a tratti hai la fortuna di incontrare nella tua vita, specie se arrivano nei momenti di affanno.
Quando ho saputo della sua morte ho sentito un vero dispiacere. Il dottore D’Ascola, non solo era un bravo medico, ma era anche una persona buona.
In questo immenso circo che sta diventando il mondo, in cui si è pronti ad affondare i denti nella carne dell’altro, la bontà e la gentilezza mi appaiono con sempre più chiarezza l’unica azione sovversiva possibile per attraversare la vita, per salvare i bambini e le bambine, anche quelli offesi, dentro di noi. A questo penso da quando ho saputo della morte del dottore D’Ascola, che un giorno è entrato nella mia stanza di ospedale e non ha visto la brutta camicia da notte gialla, ma solo il mio sperdimento e mi ha sorriso.
(nella foto sono ritratta il giorno prima che un taglio sulla pancia servisse per l’ingresso al mondo di Agnese. Faccio la cretina, cosa che mi accade spesso quando ho paura. E di paura ne avevo molta quella sera)
Tizianeda