Nov
Nov
Mi piacerebbe, ma solo certe volte, quando i pensieri mi stanno di traverso, entrare nella testa della gente, capire che cosa è andato storto, l’inceppamento, il flusso divergente, se dentro è tutto morto.
Mi piacerebbe entrare nella testa di tutti quei ragazzi che si muovono coi muscoli pompati, con movenze di tacchini un po’ cretini, che stanno tutto il giorno a tirar pesi, sognando di menare i coetanei che sono mingherlini e c’è più gusto a farlo tutti in gruppo, che tra i vigliacchi, nel podio, sono i primi. Entrare nella testa di chi picchia chi ha un pensiero differente, che è bello per loro menar la gente, pensando di esser migliori e invece poverelli, sono pedine di tutti quei potenti, che danno lor l’abbaglio di esser forti, di ricino muniti e manganelli.
Vorrei davvero entrare nel cervello, capire cosa spinge un Calabrese a fidarsi di chi ha portato nei comizi elettorali, tutto il suo odio verso il meridione, chiamandoci terroni, schifosi, puzzolenti, cattivi nullafacenti. Augurandoci la morte, per mano di un vulcano o un terremoto, per poi cambiare in base all’esigenza, spostando solo più al sud il suo nemico. La paura prolifera, loro sanno, nel seggio il voto e al Parlamento lo scranno.
Vorrei capire cosa non vi è chiaro, se è ignoranza, opportunismo, mancanza di memoria. Come si può portare a Roma chi poi vota, contro i diritti della gente. Chi invece di chiedere allo Stato di lottare contro ingiustizie e corruzioni, si svende, facendosi poi selfie, come a un party divertente, associando la Calabria alla Padania che è un luogo, lo sanno tutti, inesiste.
Vorrei capire, in questa Italia triste e prepotente, entrare nel cervello del “padrone”, perché non sente il dolore della gente. Come si fa a non avere il moto che dell’umano fa veder l’altro, provare commozione e compassione per il dolore di un corpo mutilato. Come si fa a non sentir che un arto non è un prodotto da vendere al mercato, da infilare nella cassetta degli ortaggi, e poi lasciarlo sull’uscio di una casa, insieme all’uomo da cui è stato staccato. Come si fa a non pensare al dopo e a credere che tutto è consentito, perché dei poveri a nessuno importa niente.
Vorrei davvero farmi ‘sto viaggi tra le sinapsi di tutta questa gente, anche se penso che lì non trovo niente, oppure frano davanti all’evidenza, che è tutto un non sentire il battito dell’altro e perdo la pazienza.
E allora resto fuori e cerco altre persone che sanno costruire, restituire pensiero e narrazione, con la visione di chi, sapendo il buio, sentendo addosso l’altro e il suo dolore, accende un fuoco in cerca di chiarore.