E’ andata proprio così

Ci sono domeniche che vanno così come devono andare.
Domeniche che sembra che non succeda niente ed invece a pensarci si riempiono di tante cose. Anche se rimani a casa, arriva sera e pensi “oggi non sono uscita”, ma anche “però non mi dispiace”.
Quindi così è andata questa domenica:

° Tizianeda ha cercato di dare una consistenza più dignitosa alla cesta del suo bucato, perchè se avesse aspettato ancora, tutta quella roba informe le sarebbe caduta addosso seppellendola per sempre.
Ha conversato sul balcone con le sue vicine di casa del piano di sopra. Ha cercato di carpire i segreti del loro bucato profumato e soffice, mentre prendeva dal filo steso i suoi jeans inodore e paralizzati, apprendendo che loro usano detersivo e ammorbidente e pigiano un bottone per avviare la lavatrice. Poi le sue vicine di casa le hanno confidato che se si lava i capelli con acqua ed aceto di mele, verranno morbidi e lucenti. Domani Tizianeda comprerà al supermercato l’aceto di mele, sperando di non rimediare capelli puzzolenti e crespi.

° Ha lavorato. E’ uscita dalla porta di casa sul pianerottolo, ha fatto una sola rampa di scale, ha aperto un’altra porta e già era nel suo studio di avvocatessa.
Ha scritto un bel po’ di cose noiose, ma siccome era domenica e di domenica non si può essere disciplinati come gli altri giorni della settimana, sempre che si riesca ad essere disciplinati gli altri giorni della settimana, ha contemporaneamente ascoltato musica a tutto volume, e sulle note di “People have the Power” di Patty Smith che la decenne dice essere bellissima – “mamma ha una luce speciale”- ha anche cantato e ballato tra faldoni, codici, stampanti e scanner. Ogni tanto ha dato una sbirciata a tutti i social network in cui è coinvolta, dicendosi a cantilena “giuro questa è l’ultima volta”.

° Lo sposo errante che era andato a trovare santa Gina la sua mamma, è ritornato insieme al seienne ed alla decenne, con lasagne al forno e parmigiana preparate dalle mani sapienti della nonna. Tizianeda che ha mangiato tutto come un camionista affamato dopo una lunga trasferta, poi si è lamentata per il resto della giornata, progettando nella sua testa strategie dietetiche e ginniche ed ossessionando lo sposo errante : “ma hai visto che pancia che ho?” “quale pancia?” “ma puoi una buona volta dirmi che sono ingrassata?” “a me non sembra e poi mi piaci così” “ho capito è inutile parlare con te”.

° Ha anche sonnecchiato sul letto insieme alla parmigiana ed alle lasagne che resistevano ad ogni forma di digestione. Ha giocato con suo nipote Simone di quasi quattro anni, prodotto divertente e folle dell’unione amorosa di Elisabetta e zio Peppino, fratello di Tizianeda, Simone che è figlio dell’ottimismo dell’ostinazione e del coraggio di questi due. Ha ripassato le tabelline del due del tre del quattro e del cinque, fatto il solletico alla decenne che ride anche se non la tocca, ha ascoltato lo sposo errante che suona il basso elettrico e si esercita a casa, e quando ha un po’ tempo lui con il suo strumento va a musicare in casa di un amico. C’è chi suona il piano, chi la batteria, chi la chitarra elettrica. “Che nome ha la tua band? No perché un nome ci vuole” “mmmm” “io propongo “la speranza è l’ultima a morire” o “The last hope” come diceva Elisabetta, oppure “siamo attempati ma pieni di buoni propositi”” “…”.

° A proposito di Sposo Errante. Oggi sono 14 anni che lui e Tizianeda stanno insieme, intendo da quando sono fidanzati. Lui se ne è dimenticato, lei non gliel’ha ricordato, perché vuoi mettere la soddisfazione di immaginarlo mentre legge questo post, si batte la mano sulla fronte e dice ”porca miseria è vero!”. Tizianeda dinanzi al buco nero dell’uomo adulto di casa, ha avuto una reazione imprevedibile: ha pensato “ma sì capita!”. Sarà che il tempo scorre e si modifica e tu con lui, sarà che Tizianeda sa che la sostanza è fatta di altro e non di date da ricordare, o forse sarà stata questa domenica che è andata proprio così.

Tizianeda

Un infido mostro e due bambini

L’infido mostro Ogginoncelapossofare si aggira inquietante e minaccioso, non solo la mattina, quando la sveglia suona in orari incompatibili con il tuo bioritmo.
Non solo nel turbine nevrotico del tuttoprestosubitobene che è il tuo lavoro.
Oppure la sera quando tu e la tua stanchezza siete un tutt’uno melmoso ed informe ed il sonno diventa la prospettiva migliore della tua vita.
L’infido mostro Ogginoncelapossofare gongola beato anche nell’ora in cui i bambini si trasformano in sofisticati strumenti di tortura.
“Cari bambini, è giunta l’ora dello studio, chiudete i vostri amati libri di letteratura, scienze, filosofia e recatevi nelle vostre stanzette”.
“Sì madre con slancio e gioia”.
Questo è quello che nell’intimo ogni genitore vorrebbe accadesse nel caos della propria casa.
Tuttavia il più delle volte le dinamiche familiari prendono sentieri differenti e più tortuosi.
“Ora basta chiudete la televisione ed iniziate a studiare !”
“…..”
“Insomma!!”
La decenne, neofita della scuola media, si impossessa della sua postazione nella stanzetta. Si alza dalla sedia una quantità di volte accettabile, è sempre “tutto bene tutto ok”. Quando le chiedo di ripetermi la lezione del giorno, così all’improvviso, come fa un Finanziere a cui un attimo prima hai aperto le porte del tuo locale e un attimo dopo è con i tuoi libri contabili in mano, lei non batte ciglio e si rende disponibile come un onesto cittadino.
La guardo incredula, pensando che forse è stata rapita di notte da due compassionevoli genitori extraterrestri per poi essere riportata nel suo letto, ignara e geneticamente modificata. O forse, la non più bimba è soltanto cresciuta.
Poi c’è il seienne ormai quasi settenne. Il tempo dei compiti per lui è un grafico impazzito che sale fino alle più alte vette dell’efficienza per poi all’improvviso scendere giù giù verso gli abissi della disperazione : “Sono staaaaanco, ho bisogno di riposaaaarmi, ho trooooppi compiti…..” ecc ecc.
In mezzo a questo delirio pomeridiano c’è un po’ di tutto.
Ci sono le irrinunciabili ed improcrastinabili urgenze. “che ti prende ora” “Mi scappa la cacca…però vieni con me”. Poi c’è la pipì, la sete inconsolabile di un maratoneta nel Sahara, il dolore alle gambe, prima la destra e poi la sinistra e viceversa, e la pausa respiro. Nella stanza con la sorella non studia più, perché ineluttabile arriverebbe tra i due il momento degli insulti e della rissa. Se distolgo lo sguardo, in un lampo, il quaderno, le penne, il diario ed il borsellino vengono accerchiati da pupazzi con le facce allampanate e pazze “mi devono guardare mentre faccio i compiti”.
Ogni tanto decide di esprimersi nella lingua dei suoi esseri immaginifici “la smetti di fare le pernacchie?” “non sono pernacchie è il pernacchiese”, che si aggiunge al mimiese al titiese ed al fiffiese.
Però gli piace ripetere le lezioni per infarcirle di fantasie poetiche ed aggettivi sorprendenti. Come quando ha dovuto imparare il modo in cui l’uomo nei secoli è riuscito a misurare il tempo. Gli è piaciuto talmente che ormai la ripete tutti i giorni.
“Quando il sole si trasformava in luna gli uomini capivano che era notte” “ma il sole non si trasforma in luna” “si lo so mamma ma mi piace dire così”
“E poi l’uomo è diventato più tecnologico, più intelligente e creativo, così ha inventato l’orologio” “Accidenti e questi aggettivi chi te li ha insegnati?” “nessuno, lo sai che io penso tanto”.
E così il pomeriggio scorre e sfrigola come i moti ondosi.
Dopo tutto questo, Tizianeda fugge non molto lontano, solo un piano più giù rispetto a quello di casa, nello studio di avvocatessa, ignara che alle sue spalle c’è quel tipo strano ed inopportuno in agguato: il silente e malefico mostro Ogginoncelapossofare.

Tizianeda

Una donna

Ha i capelli lunghi e biondi, cadono uguali sulle guance e le spalle. Li sposta distrattamente con un gesto veloce della mano, lato destro, lato sinistro e così via, eco di un vezzo antico da ragazza. Ha il sorriso aperto e gli occhi di chi ha il peso di tante vite da gestire, perché tutto fili in qualche modo. Sono occhi che guardano dall’alba. Vorrebbe essere a casa, nel silenzio della notte, i bambini a letto, il respiro lento e caldo, il tavolo in cucina già pronto di tazze per il latte, zucchero e biscotti, mentre la moka sul fornello ti rimanda al profumo del caffè che domani ti consolerà da un risveglio inopportuno.
Ed invece è lì, seduta ad un tavolo con me accanto e tanta gente intorno. Non ci vediamo spesso. Sempre alla festa di compleanno di qualcuno. Anche io sono stanca. Penso al mio letto e alle lenzuola fresche, al momento in cui il corpo si rilassa ed i pensieri lentamente sfumano.
Parliamo e mi racconta quello che già so, perché è una storia che mi ripete quando ci vediamo. Ed io l’ascolto ogni volta come fosse la prima.
“Non mi aiuta in niente. Ho tutto sulle mie spalle, lavoro, figli, scuola, cucina, casa, spesa…. Se gli chiedo il favore di fare una cosa mi dice sempre che è stanco……”
“ E tu non gli parlare più se non ti rispetta, non gli preparare i pasti caldi, non fare l’amore, non gli comprare i suoi cibi preferiti, non lavargli le camicie e se proprio lo devi fare lavale a 100 gradi ed infila un capo rosso fuoco possibilmente suo in lavatrice, così rovini pure quello, tagliati i capelli fatteli folli o sbarazzini, guardati allo specchio e ripeti mille volte che sei magnifica ed importante, accendi ogni tanto la musica a tutto volume ed invece di passare l’aspirapolvere balla e canta a squarciagola. Prendi i tuoi figli ed uscite, camminate piano e ridete insieme….”
Avrei voluto dirle tutto questo, ma no, non l’ho fatto. Per mancanza di coraggio, per il pudore che ti impedisce di invadere con le tue parole le storie altrui. Perché a volte la vita raccontata ha un peso diverso per chi la racconta rispetto a chi invece la riceve. Per il suo sorriso buono, perché lei sa come la penso, perché non ho mai dispensato suo marito dalle mie dispettose battute piene di rivendicazioni femministe.
“Io non credo che se collabora in casa faccia un favore a te, perché in famiglia tutti aiutano tutti , ci si viene incontro, è un rapporto di solidarietà, ognuno dà il proprio contributo”.
Questo soltanto le ho detto.
Così la sera ha proseguito lenta con la nostra voglia di andare via da lì, fino agli auguri al festeggiato ed ai saluti di commiato e poi finalmente casa a farci consolare dal sonno dentro lenzuola fresche e spiegazzate.

Tizianeda

HD e Puzzette

Tutti e quattro seduti in torno alla tavola. Mangiamo.
Poi irrompe il Piccolo con i suoi discorsi visionari.
“Mamma tu e papà non vedete in HD”
“…”
“Io e mia sorella invece vediamo in HD”
“Che vuol dire HD ?”
“Alta definizione, ovvio. Il mio amico Giuseppe che porta gli occhiali come te e papà, non vede in alta definizione”.
“Ovvio certo”.
……..
“Mamma pensavo…”
“Si tesoro”
“Pensavo che, se con la mente mi sforzo per spostare gli oggetti poi mi può scappare una puzzeta”.
“Come?”
“Certo. Quindi è meglio che non fisso troppo le cose per spostarle con il pensiero. Che se poi mi scappa una puzzetta mi imbarazzo”.
“Sono perfettamente d’accordo amore mio”.
“OK ho finito di mangiare…ora mi posso alzare da tavola?”.
“Sì ti puoi alzare”.

p. s. :
nei giorni scorsi è stato sciolto il Consiglio Comunale della mia città, Reggio Calabria, per il miscuglio melmoso con ‘ndranghetisti ed affaristi.
Al posto degli abitanti di questa nave sfasciata, il Governo ha nominato tre uomini che si chiamano Commissari, che sono un po’ come i cavalieri della tavola rotonda nominati dal re, o meglio i tre moschettieri chiamati dalla regina a proteggere la corona.
Me li immagino (perché la speranza è un atto dovuto) coraggiosi e indomiti come i bambini, i poeti e i visionari, o semplicemente come la gente onesta e sagace.
Spero che il loro sguardo sia in HD, come quello del seienne e della decenne. E spero che riescano a spostare tante cose brutte della mia città, anche se per lo sforzo gli scapperanno molte puzzette.
Un’ultima cosa sui Moschettieri. Il quarto, quello più importante, siamo tutti noi.
Un saluto allegro e speranzoso.

Tizianeda

Il viaggio, lo sguardo e quello che conta

Lo Sposo Errante ed il suo amico di sempre, vagano beati per le lande sperdute della Scozia, viaggioregalo per i loro compiuti cinquant’anni e antica promessa mantenuta. Per loro sono giorni miracolosamente sospesi, pieni di chiacchiere solitarie in un generoso tempo autogestito.
Me li immagino come spavaldi Indiana Jones, curiosi come Bruce Chatwin ed empatici come il capitano Kirk e il signor Spock però senza il teletrasporto.
Tizianeda, che ama le storie che viaggiano nel tempo, proprio come questa, che avrebbe voluto seguire i due cinquantenni per sbirciare curiosa le loro gesta, per lenire l’ansia da lontananza e il timore che non torneranno più, per dare sfogo alla sua fantasia compulsiva e soprattutto perché è una buffona senza speranza, in questi giorni si è rappresentata nella sua mente iperattiva, cosa sarebbe potuto accadere ai due girovaghi :
1. Scoprono che il mostro di Loch Ness esiste davvero. In una notte nebbiosa ed umida, mentre contemplano il lago fermo e silenzioso ricordando i loro trascorsi fanciulleschi, quella specie di drago acquatico sbucherà infido dalle acque, imprigionandoli nelle sue viscere come Geppetto e Pinocchio nel ventre della Balena. Nessuno li troverà più.
2. Mentre percorrono nell’ automobile noleggiata, le lunghe strade desolate della Scozia che tagliano la brughiera, distratti dalla corsa di centinaia di daini su un prato, non scorgeranno il gregge di pecore che attraversa la strada, così le investiranno e ne uccideranno una decina.
Il pastore padrone, grosso peloso vagamente odoroso di whisky e di stalla , in preda ad una funesta ira compulsiva, sfascerà la macchina dei due malcapitati con una grossa clava causalmente in suo possesso. Li sequestrerà, e per farsi risarcire li costringerà a sposare le sue figlie grosse, pelose, vagamente odorose di whisky e di stalla. Ci sarà un rito gaelico al cospetto di tutte le bestie della fattoria. Nessuno li ritroverà. Forse un giorno riusciranno a fuggire.
3. Si sistemano comodi su un battello pensando di godere di una breve gita panoramica. In realtà per un inspiegabile equivoco, salgono su un peschereccio rompighiaccio che li porterà sino alla Groenlandia. Il barcone sosterà lì per tutto l’inverno. I due saranno adottati dalla comunità Inuit, si dedicheranno alla caccia del bue muschiato ed alla pesca di gamberetti e narvali facendo buchi nel ghiacci . Ritorneranno in primavera.
4. In Scozia non sono mai arrivati.Sono a Rio de Janeiro ad ancheggiare al suono di salsa e merengue con toniche e discinte fanciulle in un tripudio di sudore e mojto. Se ritorneranno non lo so.

In realtà niente di tutto questo è successo, almeno non ancora.
Lo sposo Errante ed il suo amico in questa serena pausa dell’età di mezzo, hanno già ammirato le bellezze del Lago, senza tuttavia avere incontri ravvicinati con il mostro. Si sono placidamente accomodati sui sedili di un battello che li ha portati davanti alle rovine di un antico castello, e poi sono ritornati al porticciolo dal quale erano partiti, senza perdersi o essere divorati da esseri immaginifici.
Hanno percorso chilometri e chilometri in macchina e contemplato paesaggi e villaggi scozzesi. I daini li hanno visti veramente, le pecore pure. Nessuna di queste bestie è stata travolta dalla loro guida disinvolta. Non hanno incontrato pastori.
Sono approdati su un’isola che si chiama Arran, non molto lontana dall’Irlanda , dove la flora e la fauna sovrasta numericamente la presenza umana. Mentre la nave scivolava sul mare freddo del nord, hanno avvistato uno squalo elefante potente ed imperturbabile.
Ogni mattina lo Sposo Errante, per integrarsi con gli indigeni, mangia pane tostato, bekon, uova che a guardarle nelle fotografie che ci manda, sembrano mozzarelle di bufala campana, beve anche il caffè o qualcosa di simile.
La sera ci sentiamo e ci vediamo con i sorprendenti strumenti tecnologici di internet.
Il seienne gli rammenta di portargli qualche regalo, la decenne sogna di andare anche lei un giorno in un posto lontano, con un’ amica.
Così la famigliola partecipa gioiosa a questo viaggio, perché non c’è chi parte e chi invece resta ad aspettare, ma un miscuglio potente di esperienze e di vita che si mescolano si sovrappongono ed a volte si dividono, perché alla fine siamo tutti viaggiatori e non è il dove ma è sempre lo sguardo quello che conta.

Tizianeda

Avventura.

Questa storia appartiene a due bambini e a due uomini. E’ la storia di un sogno e di una promessa mantenuta.
I due bambini hanno nella testa un groviglio di avventure a cui dare forma per le strade e nei cortili, nel tempo dove tutto è sospeso e possibile. Hanno il legame misterioso dell’amicizia, condividono i loro dieci anni e la strada dal nome bello dove vivono, “Fata Morgana”. Condividono la fantasia, le risate i giochi in libertà ed un presente lieto. Condividono i racconti dentro schermi con le figure in bianco e nero che se li guardi da dietro, ti sembrano la prua di una grossa nave e chissà cosa diavolo c’è dentro. La televisione, per i loro dieci anni è uno spazio breve dentro cucine odorose di cene sempre pronte. Alimenta fantasie e un giorno all’improvviso una promessa, un patto indistruttibile ed assoluto. Così è successo con quel programma lì, che li porta divertito in posti lontani e sconosciuti, che gli fa sgranare gli occhi silenziosi.
“L’hai vista la puntata di ieri?”
“Si certo. Ma secondo te c’è davvero?”
“Boh!? Se vogliamo scoprirlo dobbiamo andarci”
“Per me va bene. Facciamo un patto. Quando saremo grandi andremo in Scozia insieme sul lago di Loch Ness per vedere se il mostro esiste veramente”.
“Affare fatto”.
Questo penso si saranno detti i due mocciosi, per poi continuare imperturbabili a giocare . Le parole che a quell’età hanno un peso, anche se non ci ritorni più sopra, sono rimaste nelle loro teste allora bionde, come un sigillo, un legame indissolubile. Per questo quelle parole lì, hanno viaggiato sulle loro gambe ossute, sono rimaste silenti e vive nella loro memoria riposta. La promessa ha resistito come un grosso mercantile in un mare in tempesta. Ha attraversato il tempo, mentre i cortili si svuotavano per diventare silenziosi e fermi, mentre le automobili rubavano ai bambini lo spazio nelle strade. Anche la televisione non è stata più la stessa, dentro e fuori. Le gambe sottili dei bambini si sono rinforzate, la loro pelle liscia è diventata ruvida. Il loro odore è cambiato insieme alla voce, gli occhi sgranati e silenziosi si sono posati su altro. Dalla loro via dal nome bello si sono allontanati, per andare altrove.
Qualcosa però è rimasta immutata. Il loro legame misterioso e quella promessa scambiata tra due bambini sognatori .
“Che ne dici se per festeggiare i nostri cinquant’anni andiamo finalmente in Scozia?”.
“Perché no”.
Questo penso si saranno detti lo Sposo Errante ed il suo amico, cent’anni in due equamente distribuiti.
Per questo oggi, l’uomo adulto di casa prenderà un aereo che lo porterà a Milano dove vive il suo compagno di giochi di tanti anni fa, si guarderanno con lo stesso affetto timido e antico di quei due bambini. Poi da lì insieme prenderanno un altro aereo ed un altro ancora per arrivare finalmente in quei posti sperduti e lontani dove, con occhi sgranati e silenziosi consegneranno la loro promessa.

P.s.: la trasmissione televisiva che i due bambini vedevano si chiamava “Avventura”, era curata da un giornalista, Bruno Modugno, che insieme ad altri come lui girava dei servizi in giro per posti lontani lontani.Il programma iniziava con una sigla con la voce di Joe Cocker che canta una canzone dei Beatles “She Came In Through the Bathroom Window”. Siamo negli anni ’70.

Tizianeda

Sono come sono

Lei.
Ogni sera li sistema sopra il letto, completi di accessori, poi mi chiama.
“Mamma vieni a vedere come mi vesto domani a scuola”. E’ un tripudio di bracciali e collane, di strass e teschi, di barocco e gotico, di contrasti in cui si muove sicura, e penso che certi talenti sono innati, almeno nel suo caso. Per forza.
Io le rammento la sobrietà necessaria a scuola, lei mi rammenta che presto sarà costretta ad indossare la “triste” tuta da ginnastica delle medie, che la uniformerà agli altri, e vorrebbe approfittare degli ultimi giorni di libertà estetica.
E così, con l’abbigliamento selezionato la sera prima, forzatamente sfrondato di qualche eccesso – “la collana con l’enorme ciondolo a forma di cobra pieno di brillantini rimane a casa”- con lo zaino abbarbicato sulle spalle, pieno e rigonfio fino all’inverosimile che se cade all’indietro non si rialza più, con il suo passo veloce sicuro ed indomito, si accinge ad affrontare le cinque ore di scuola che l’aspettano, non senza prima aver risistemato mille volte il ciuffo dei capelli.
Lui.
I vestiti da indossare a scuola non sono la preoccupazione del seienne.
Li sceglie dopo la colazione secondo i suoi personali canoni estetici e cromatici. Un giorno prende nell’armadio i pantaloni arancioni con la maglietta gialla, un altro la maglietta arancione con i pantaloni rossi, oppure la maglietta verde con i pantaloni arancioni o ancora i pantaloni arancioni con la maglietta arancione.
Quando poi lo invito con l’ausilio di terribili minacce a pettinarsi, lui mi guarda stupito ed incredulo.
“Non capisco perché ci tieni tanto che mi pettino”
In realtà i capelli ordinati, male si abbinano con il suo modo sbrindellato di indossare i vestiti, con la maglietta sempre infilata per metà nei pantaloni , l’altra ciondolante fuori e quel tripudio chiassoso di colori.
E così usciamo, la decenne che freme e vuole andarsene da sola, il seienne avvistabile anche da molto lontano e poi ci sono io, che insomma, come loro, sono come sono.

Tizianeda

Era mia zia

Ci sono persone che profumano di bontà, come il pane che trattiene il ricordo del forno caldo.
Ci sono persone che attraversano la loro terra capovolta lievi e sorridenti, come i personaggi strambi di un cartone animato, di quelli che cadono milioni di volte senza mai farsi male, facendoti sganasciare dalle risate.
Ci sono persone con gli angoli della bocca verso il cielo, e gli occhi presidiati da rughe avvolgenti e danzanti.
Ci sono persone con la tavola sempre apparecchiata e piena, perché non si sa mai chi può arrivare all’improvviso.
Ci sono persone con mani pietose pronte a raccogliere e consolare, che hanno il coraggio dei bambini, che fiduciose circondano con il loro gratuito improvviso amore ogni essere vivente che gli capita a tiro, perché per i giusti è così che funzionano le cose.
Ci sono persone che non le puoi frenare o cambiare perché tanto è inutile, e comunque sai che se il mondo sta su, è solo grazie a loro.
Ci sono persone che quando non ci sono più, il pianeta perde un po’ della sua lievità.
Ci sono persone che quando le pensi ti viene da sorridere.
Persone che le devi raccontare, per incastrarle nella memoria.
E c’era una donna che era tutte queste persone messe insieme e molto altro. Perchè la sua casa era un tripudio di accoglienza. Un transito allegro di umanità e vita.La sua casa era anche il rifugio di animali orbi e sciancati che raccoglieva ovunque sentisse il loro richiamo. E se vedeva uomini o donne derelitti rovistare in cerca di cibo, lei, che mai distoglieva lo sguardo, che aveva sempre posti a tavola da riempire, li portava fiduciosa con sé. Lo sapevano e lo accettavano pazienti il marito, le figlie, tre bellissime, e i nipoti.
Questa donna, che ormai da parecchio si è trasformata per noi che l’amavamo in un pensiero bello, si chiamava Teresa, era mia zia. La zia Sisa.

Tizianeda

Una faccenda complicata

Nel tempo in cui mia nonna era una ragazza, quando essere donne era una faccenda complicata, certe parole non si potevano pronunciare e di certe cose non si doveva parlare, perché non stava bene. Nel tempo in cui mia madre era una ragazza, quando essere donne era una faccenda complicata, è arrivata la concessione degli eufemismi o della fantasia verbale.
Molti anni sono passati da allora, i costumi si sono evoluti, la modernità ha preso il sopravvento, essere donne continua ad essere una faccenda complicata. Però, di coloro che non si dovevano nominare, oggi ne parlo con serenità alla ragazzina, in un raro momento di solitudine ed intimità.
“Voglio essere onesta con te, quando un giorno arriveranno saranno una gran rottura di scatole, però devi pensare che sono anche il racconto di una storia sorprendente. Noi donne siamo legate al ciclo dell’universo. Siamo come la luna che ogni ventotto giorni ci ricorda la sua perfetta natura sferica!”
E poi parlo parlo, mentre lei mi guarda muta e spiego non utilizzando più l’infida bugia dello sciroppo di mirtilli. Mi sento orgogliosa dell’uso sapiente delle mie parole, anche perché questa storia della perfezione sembra affascinarla. Ma proprio mentre mi stupisco di quanto sia stato facile affrontare l’argomento con mia figlia e assaporo la certezza di averla preparata per il futuro, ecco che arriva l’imprevisto.
“Chi è che si è fatto male?”
Il seienne! No, dove diavolo era!
“A me il sangue fa schifo. Quando ero piccolo e mi hanno infilato l’ago nel braccio per farmi le analisi stavo svenendo. Ti ricordi mamma?”
Intanto la ragazzina si allontana.
“Dove vai?”.
“Mamma, ho bisogno di bere un bicchiere d’acqua, mi viene da vomitare!”.
Il lento lavoro di emancipazione che ha attraversato generazioni di donne, distrutto in pochi secondi da un seienne.

Tizianeda

E allora?

Dopo il primo giorno, le strade, i cortili, gli abitacoli delle macchine bloccate nel traffico, le piazze, le scale ed ogni anfratto della città, sono stati inondati da un unico interrogativo: “e allora?”.
E’ fuoriuscito dalle bocche imbambolate ed ansiose di noi genitori in attesa di risposta, come di fronte a un oracolo reticente. I potenti detentori della verità, con i loro zaini sulle spalle, rispondono, secondo personali priorità.
“E allora ragazzina come è andato il tuo primo giorno nella scuola media?” : mmm, tutto ok, tutto bene, non mi sono mai mossa dal banco, durante la ricreazione non ci fanno alzare, i maschi sono quasi tutti brutti.
“E allora seienne?”: nella mia classe c’è una bambina nuova , si chiama Maya, ed ha quelle cose nere tutte attorno agli occhi che sono lunghissime e finiscono in alto ed in basso, come si chiamano… secondo me è truccata. E’ bellissima.
Il primo giorno tornati a casa, la decenne ha svolto i suoi primi compiti della scuola media, il seienne, per tutto il pomeriggio ha disegnato bambini saltellanti e felici, che sconfiggevano mostri cattivi . Si è disegnato insieme a sua cugina, quella che si crede la sua sorella gemella, quella che è sbucata quattro mesi prima di lui dalla pancia della zia Dada. La cugina che fuori dalla sala operatoria, quasi sette anni fa, aspettava l’arrivo del seienne nella terra sbilenca, tenacemente abbarbicata alla tetta della sua mamma.
Poi è arrivata la notte ormai agitata da qualche settimana, ed il sonnambulismo del piccolo di casa. “Cosa fai qui in piedi vicino al mio letto. Mi farete venire un infarto” “Dobbiamo andare nell’aldilà” “Come?”
Poi è arrivato il secondo giorno con tutti noi fuori, ancora in attesa di risposte.
“E allora?”:
“ mmm, tutto ok, tutto bene, non mi sono mai mossa dal banco, durante la ricreazione non ci fanno alzare, a scuola vorrei andarmene da sola”.
“Oggi è successa una cosa fantastica, per la prima volta mi sono difeso dal bambino fastidioso …..non ho iniziato io per primo”.
Io l’ho abbracciato. Sua sorella gli ha stretto la mano e si è complimentata come se avesse vinto le olimpiadi. Suo padre gli ha voluto parlare al telefono. La nonna vecchietta ed ecclesiastica, pur disapprovando, si è astenuta da ogni sermone.
Gli scarafaggi ed i ragni sopra il tetto di cui il seienne ci parlava in prima elementare per dirci che aveva paura, sono scomparsi e lui si gode il suo momento di trionfo. Di nuovo il pomeriggio ha disegnato bambini felici. Poi la sera nell’ora della cacca e delle chiacchiere, ha voluto fare un gioco “mamma ora io ti chiedo: lo sai chi si è difeso dal bambino fastidioso? E tu fai finta di non saperlo e poi te lo dico che sono stato io. Va bene?”.
E poi c’è stato il terzo e il quarto giorno di scuola. E poi e poi… insomma, poi si vedrà.

Tizianeda