Da un angolo della stanza, rischiarato da una luce timida, sgorgava una musica sensuale ed avvolgente. Un uomo silenzioso con il suo strumento tra le braccia, seguiva le note, che morbide riempivano l’aria.
La donna dopo una giornata calda e frenetica che le aveva risucchiato le già poche energie, procedeva con passo fiacco, consolata da quella musica suadente.
Avrebbe voluto togliersi le scarpe e spogliarsi, ma all’improvviso veniva catturata da due braccia soffici femminili che iniziavano a coinvolgerla in una danza turbinosa “Permette un tango?”…… anche se la musica era una bossanova.
Le due donne strette strette iniziarono a marciare avanti e indietro ballando a specchio, ciascuna con un braccio che stringeva il fianco dell’altra mentre gli altri due rispettivi arti, spiccavano in avanti con le dita delle mani intrecciate.
“Ora facciamo un bel caschè”.
“Non credo che la mia schiena……piano!”
Dopo pochi minuti di danza, all’improvviso un maschio ossuto, in abiti discinti, bello da impazzire, si avvicinava al duo danzante, cercando di impossessarsi della ballerina più alta e di maggiore età.
“Ora tocca a me”.
“No, ho iniziato prima io e non ho finito”.
Il disaccordo verbale sfociava in una zuffa mentre il suonatore nell’angolo, procedeva impassibile a far vibrare le corde del suo basso elettrico.
Dopo spintoni, urla, insulti e terribili offese: “stupido!!” “no! Stupida tu” la donna sedava la rissa concedendo a quei due debosciati cinque minuti ciascuno di tango .
Così l’oggetto della contesa, ha continuato a subire pericolosi caschè accompagnati da risate allegre della compagna, per poi danzare con il maschio , felicemente avvinghiato alle sue rotondità .
“Va bene bambini ora basta, la mamma deve preparare la cena!”.
E così la mamma, dopo una giornata nevrotica, dopo un insolito tango su un pentagramma bossanova, una gioiosa ragazzina decenne che attentava alla sua schiena, una rissa sedata, un seienne appassionato di donne formose, un musicista imperturbabile, ha affrontato l’ultimo ostacolo della giornata: un frigorifero vuoto ed una cena da inventare.
Tizianeda
“Non piangere….vieni a casa mia ti offro una gazzosa al caffè”.
“Ti ho portato due libri…sono sicura che ti piaceranno”
“…………………………..”
“Ho avuto un attacco di panico”
“Sei meravigliosa!”
“Usciamo solo noi ragazze?”
“Sono felice di averti conosciuta!”
“Caffè?”
“Coraggio!”
“Come stai?”
“E’ stato bello stare con voi”
“Ahahahahahahah”
“Mangi abbastanza?”
“Sei dimagrita..stai benissimo!”
“Queste scarpe sono stupende!”
“Secondo me stai sbagliando”
“Certi uomini sono proprio stronzi”
“Certe donne sono proprio stronze”
“Grazie”
………
L’amicizia tra donne è un pentagramma mutevole ed avvolgente. E’ una coperta di lana per l’inverno. E’ una lingua arcana. E’ capirsi senza spiegare, è sentirsi senza vedersi. I silenzi parlano per loro. Le donne corrono veloci anche quando il vento non le spinge. Le donne si toccano, si abbracciano, perché l’amicizia è corpo, è carne. Le donne stanno dove c’è il dolore, mani che consolano. Tra di loro ridono scurrili come rozzi galeotti, sono ragazze anche a settant’anni. Si sussurrano l’anima. Parlano dei figli. A volte dei compagni, lamentando le mancanze. L’amicizia fra donne è nuda. E’ parole esatte. E’ un sentire condiviso. E’ solitudine accolta. E’ quotidianità, piccoli gesti lievi. Due donne sedute, che si sfiorano le spalle in un salotto terso … guardano mute fuori dalla finestra.
Tizianeda
“Mamma, ma io posso dire ad alta voce facchiù?”.
“Direi di no. E’ una brutta parola e chi conosce l’inglese la capisce”.
“ Però in Mimiese la posso dire”
“Come!?”
Già i Miemi, quei bimbi senza naso, piccoli piccoli che abitano nel mondo “Pasticciato” che parlano una lingua oscura e mutevole che nessuno capisce, a parte il loro creatore. Che sono tantissimi ed in perenne movimento, che vivono avventure stralunate nella testa di mio figlio di sei anni e sui fogli formato A4 sparsi per la casa.
“Certo perché in mimiese facchiù vuol dire : cosa stai facendo tu?………mamma facchiù?”.
Ed io bestia che gli rispondo….”Mi sto lavando i denti… Ora però fila a letto!”.
Tizianeda
“1, 2, 3, 4, 5, oddio, 6, 7, 8, 9 non è possibile…10…bastardelli! ”.
Mi aggiro depressa per casa, con in testa un tragico interrogativo: “E’ arrivato il momento di farmi la tinta ai capelli?”.
Il tempo passa bellezza, mi dico masochista.Dieci capelli bianchi disposti sulla mia testa! Cerco di tirarmi su con il mezzo gaudio: tutti in fondo invecchiano… non mi consolo.
Provo a pensare a soluzioni semplici, veloci ed affidabili:
1) Li brucio con la piastra .
2) Li coloro con i pennarelli indelebili neri dei miei figli.
3) Li nascondo sotto una frangia. Però le frange stanno bene alle ventenni e a Monica Bellucci. Io non appartengo a nessuna delle due categorie.
Allora decido di fare un referendum familiar-popolare.
“Che ne dite se mi tingo i capelli?”.
Perché no? Dice la ragazzina.
Fatteli arancioni. Risponde il piccolo.
Non ne hai bisogno, dice il sagace uomo adulto di casa.
La pace interiore è ristabilita…almeno per qualche giorno, fino alla prossima conta.
P.S.: questo post è dedicato a Maddalena e Italia due donne di un tempo che è stato, come i loro nomi. Le mie prozie, ribattezzate “le Signorine” da un paese presidiato dagli uliveti.
E’ dedicato al loro modo distratto e beffardo di invecchiare, dentro una casa ariosa, palpitante di vite antiche.
Alle loro rughe che portavano con lieve indifferenza, alle loro voci musicali e roche, ai loro capelli bianchi.
A zia Lena, che a novant’anni pensava a quando avrebbe festeggiato i cento circondata dal giubilo di noi amati nipoti e pronipoti. A zia Lulù e alla sua passione per la letteratura, da divulgare fino allo sfinimento.
Invecchiare per loro era un dettaglio trascurabile. La loro vita era piena di altro, era piena di noi, e di un passato da ricordare a voce alta.
Loro sono una storia che vale la pena raccontare, una storia che prima o poi vi racconterò.
Tizianeda
Succede che la terra si capovolge dalla parte sbagliata in un modo che non ti aspetti, o non vorresti.
Succede che la lente colorata che hai in tasca, che tieni come un amuleto o un controcanto allegro, si sgretola come sabbia, e la tua mano cerca a vuoto.
Succede che un dolore che non ti appartiene, perché è di altri che conosci, ti raggiunge, come l’aria che si sposta per una catastrofe lontana. Come le onde di un terremoto cattivo esploso altrove. Di quelle che, dove sei tu , fanno tremare nevrotiche le cose rannicchiate sui mobili, senza distruggere, ma lasciandoti addosso una densa tristezza e la percezione vaga di una perdita possibile.
Succede che le parole si svuotano, gli occhi si cercano in una chiesa piena di caldo e persone, tutte assiepate, tutte chiuse a pugno, tutte con un perché dentro, tutte spettatrici di un’assenza.
Succede che un padre abbraccia ed una madre parla, e mentre la loro forza ti inonda, rinnovi, come una preghiera sussurrata, la tua fede nell’uomo.
Succede che volano palloncini bianchi che andranno chissà dove, e si battono le mani, mentre il dolore ti sfila davanti.
Succede che torni a casa, il tuo sposo sbuccia un po’ di frutta fresca, la taglia a pezzi piccoli, la posa su un piatto ed in silenzio la mangiate insieme.
Tizianeda
I due adulti della famigliola, lo Sposo Errante e Tizianeda, un insolito venerdì sera, si sono tuffati in una gaudente movida, grazie al benevolo soccorso degli zii- fratelli di Tizianeda e dei loro coniugi, che per una notte hanno preso in consegna il seienne e la decenne.
Tizianeda è uscita da casa eccitata come un’adolescente al primo appuntamento, elegante ed imbellettata, del tutto incredula che ad aspettarla c’erano ben due diverse serate danzanti.
L’uomo adulto è uscito da casa con le sue comode scarpe ai piedi, pazientemente consapevole che fra qualche ora, avrebbe cercato di sottrarre la sua sposa dalla pista da ballo….. inutilmente.
Festa nr. 1
La ragazzina di casa fa parte di un gruppo laico Scout. Gli adulti dell’associazione, per autofinanziarsi hanno organizzato una serata musicale, con una band di cinquantenni, indigena e filo Baden Powell.
Ad aspettarci, decine di volti sorridenti dalle età altalenanti, in un locale con le ventole sul soffitto circondato da canne di bambù. C’erano gli Scout adolescenti di sedici diciassette e diciotto anni, c’erano i ventenni, c’erano quarantenni ed anche cinquantenni, c’erano uomini e donne di sessanta o settanta anni, uniti dall’universale desiderio di divertirsi, ballare, stare insieme, dentro un insolito e sano flusso generazionale. Tutti o quasi, incuranti del caldo che faceva sudare…. tanto.
Quando la band di cinquantenni ha iniziato a suonare il twist, una moltitudine di fianchi di tutte le età, ha iniziato all’unisono ad ondulare, come attivata da un arcano comando. Mentre la miscellanea di musica, gioia ed entusiasmo trasportava la miriade di bacini verso una serata allegra, data l’ora, l’uomo adulto di casa ed io abbiamo lasciato la festa nr. 1 per recarci alla festa nr. 2.
Festa nr. 2.
La moglie di un amico di infanzia dello sposo, di quelli che se anche non si esce insieme o si scelgono vite diverse, ci si vorrà per sempre bene, ha festeggiato i raggiunti quaranta anni, in un posto aperto, appoggiato sul mare come una nave ormeggiata. All’orizzonte la rassicurante visione di mille luci fluttuanti su montagne ingoiate da una notte lontana.
Quando siamo arrivati, siamo stati accolti da decine di respiri e volti sconosciuti, rallegrati da un tasso alcolico senza ritorno.
Un gruppo di donne magrissime, abbronzatissime, altissime, dotate di nasi perfetti e insolite bocche afro, si muoveva compatto, svolgendo all’unisono le stesse azioni: abbracciarsi, chiacchierare, ridere, bere, mangiare, ballare in cerchio…. come al liceo.
Gli uomini si aggiravano iperattivi sul rumoroso pavimento di legno, tutti con un bicchiere in mano.
Lo sposo della festeggiata, per darci il benvenuto, ci ha consegnato due bevande profumate di estate e limoni, composte da un liquido chiaro, ghiaccio e foglie di menta.
“Vado a ballare!” ho detto allo sposo, mentre abbandonavo il cocktail oscuro su un tavolo.
Ho approfittato della felice condizione di chi, ad una festa, non conosce quasi nessuno, come un’imbucata.
Ho chiuso gli occhi e ho iniziato a muovermi felice e sola. Ho aperto gli occhi dopo un bel po’. C’era un tipo palestrato cinquantenne che ballava accovacciato, facendo fluttuare le braccia verso l’alto.
Ho richiuso gli occhi. Poi qualcuno mi ha urtato. Ho riaperto gli occhi. Attorno al danzatore con le gambe piegate a 90 gradi, c’erano quattro donne nella stessa posizione che muovevano i sederi su e giù, vicino al pavimento. Lui sembrava un santone folle in preda ad una visione, circondato dalle sue adepte. Una donna con tacchi altissimi, vestito bianco corto, magra ed abbronzata si è unita alla setta danzante, rischiando di cadere più volte, con le gambe all’insù.
Ho richiuso gli occhi. Finalmente la musica ed io. Dopo un po’ ho sentito l’aria intorno spostarsi con forza. Ho riaperto gli occhi. Una quarantenne abbronzata e magrissima vestita con un mini abito nero si agitava convulsamente. Si abbassava sulle gambe, facendo serpeggianti movimenti con il bacino, per rialzarsi in un’ ola verticale. L’effetto domino è stato immediato. Sono stata circonda da corpi in preda a crisi convulsive, compreso il tipo palestrato accovacciato, ora con una bottiglia in mano, piena di liquido marrone, che ha tentato ripetutamente ed inutilmente di offrirmi.
Mi sono allontanata, ho richiuso gli occhi.
“La tortaaa!!!!”.
La musica si è spenta, e tutti, seguendo il flusso ci siamo recati per assistere all’irrinunciabile soffio delle candeline. Gli amici abbandonate momentaneamente le bevande allegre, si sono dedicati ad altra attività ludica: il lancio della torta sulla festeggiata e gli invitati.
Saggiamente la musica ha ricominciato a pompare forte.
Mentre mi avvicinavo alla pista, una donna non più giovane, vestita come Marta Marzotto a Portofino, ha deciso di socializzare con lo sposo errante invitandolo a ballare ed a bere qualcosa insieme. Lui l’ha guardata come se un alieno gli avesse proposto di vivisezionarlo per scopi sperimentali.
Caina, mi sono goduta il fallito approccio, pensando a quanto fosse stata sfortunata la signora, intercettando, per rallegrare la sua serata, l’uomo con il tasso alcolico più basso della festa ed il meno avvezzo ad incontri occasionali.
Poi son tornata a ballare, mentre lo sposo fuggiva da un amico sobrio.
Stavolta gli occhi li ho tenuti aperti per osservare lo spettacolo che mi girava intorno. Così ho ballato e guardato, guardato e ballato, perché quando ti si dispiega un mondo che è così lontano dal tuo, lo sforzo è quello di comprendere senza giudicare, di osservare per cogliere le sfumature, percepire le pieghe nascoste. E dopo occhi chiusi ed aperti, balli e musica, bottiglie ormai svuotate, visi veri e artificiali, allegria indotta che non c’era e divertimento sincero, io ed il paziente sposo siamo tornati a casa nostra.
P. S.: Ancora oggi non ho smaltito tutto quel danzare nella notte umida, tra cervicale, sinusite e dolori articolari.
Tizianeda
Ore 5 del pomeriggio.
Con le cuffie attaccate alle orecchie e l’i-pod acceso, cammino per strada. Vado a lavorare.
All’improvviso si materializza un collega avvocato. Ci salutiamo. Ci baciamo….. siamo meridionali.
“Ciao, tutto bene?”
“Sì tutto bene, e tu ?”
E’ infervorato per la discussione tenuta davanti ad un collegio di giudici.
Speriamo non inizi a raccontare.
“Non hai idea di cosa mi è successo oggi in udienza !”.
Perché non esiste il tele-trasporto? ☹
Spengo il dispensatore di musica portatile e tento di sintonizzarmi sui suoi racconti…..tento, appunto.
Le mie capacità di concentrazione sono pari a quelle di un bambino iperattivo costretto da un maestro ottuso a studiare.
Lo guardo senza vederlo, fingendo attenzione. Per dare credibilità alla mia patetica pantomima, immobilizzo la faccia dentro un sorriso ebete , ogni tanto annuisco e commento con vaghi “certo”, “ovvio”, “sì”.
Solo a tratti mi arriva alle orecchie l’eco di suoni familiari: “…..giurisprudenza……collegio…………notificazione……………inconsistente……….cancelleria……..giudici……………………………………………..”.
“Allora tu che ne pensi?”. Sono fottuta!
Ecco a cosa penso: ad un grande immenso gigantesco BOH!
Penso che hai interrotto il mio momento zen, tragitto casa-studio, con i tuoi discorsi uggiosi. Che sono stanca. Che la mattina sono sopravvissuta, come Frodo nella Terra di Mezzo, al Tribunale e alla sua varia umanità. Che a casa ho sostenuto un’avventura ancora più perigliosa : i miei figli. Che vorrei essere in un centro benessere a farmi massaggiare da mani pietose, anziché concludere la giornata chiusa nel mio studio di avvocatessa!
Questo penso. Però non glielo dico.
Poi come per incanto, l’intuizione, soffiata dalle Anime Buone delle Mamme Sfiancate venutemi in soccorso .
“Hai un’aria affaticata. Sei pallido. Dovresti andartene a casa e mangiare qualche cosa!”.
“Dici?”. Mi risponde preoccupato. Annuisco subito pentita (ma non troppo) della mia perfidia.
Ci salutiamo, sfiorandoci con le guance .
Lui mi volta le spalle e si incammina mesto con la borsa 24 ore dondolante. Io mi rimetto le cuffie alle orecchie, per godermi i pochi minuti di sospirata solitudine.
Tizianeda
Lui, l’uomo piccolo di casa, è dotato di ciuffi disorganizzati sulla testa, e di una scura bellezza inconsapevole. Si aggira magro e veloce per le stanze. Lo segue una tipa con due dispettosi occhi azzurri, minacciati da pendule molle bionde, che rimbalzano ad ogni movimento. Sono semi nudi e bagnati, hanno entrambi sei anni e quattro mesi di differenza. Sono cugini pasciuti dalle pance di due sorelle. Loro due insieme, già prima di occupare questo mondo bizzarro. Due fratelli gemelli anche se etero corporei.
I due tipi fuggono dal bagno, dopo aver annegato dentro un lavandino pieno d’acqua due bambole, una macchinina, Super Mario ed una pecora dalla faccia tonta .
La ragazzina decenne, sorella del seienne magro, con un abito da festicciola, tutta bardata di collanine e braccialetti come la Madonna in processione, si aggira disinvolta su due tacchi poco sostenibili.
“Mamma non le rovinare queste scarpe perché fra qualche anno le devo indossare io”
“…”
Improvvisamente il piccolo di casa in preda ad un nirvana rap, inizia a ballare convulsamente sulle note di un disco di Fabri Fibra.
“Non potresti ascoltare una canzone con meno parolacce?” gli dico sfiancata dal caldo e del tutto incapace di reagire a tanto delirio, esploso alle tre di un pomeriggio avvolto dall’estate.
“Non ti preoccupare mamma, io sono un reppista educato! Ho composto anche della musica. La vuoi sentire?”
Per venti minuti, si spertica in un furore onomatopeico traboccante di tzi tzi … .
“Ho finito la saliva, non riesco più a cantare”
“Peccato” .
Nel frattempo la cugina che si crede sorella gemella, prende un oggetto tubolare di legno, ed inizia a soffiarci compulsivamente dentro….esce un suono che fa pensare ad un’anatra con l’enfisema.
Maledico il momento in cui abbiamo consentito alla decenne di collezionare decine di fischietti che riproducono il verso degli uccelli, anche se lei avrebbe preferito riempire la casa, di cani, gatti, rettili, volatili, pesci rossi, criceti e squali.
Meno male che la giovane vicina di casa del piano di sotto, artista e folle, è partita da tanto tempo e forse non torna più. Avrebbe certamente risalito veloce le scale del palazzo, avrebbe pigiato più volte il dito sul nostro campanello. Io avrei aperto la porta e lei dopo averci fatto vibrare con una delle sue risate, sarebbe entrata dentro casa……per diventare parte di questo circo surreale, come il colore giusto dentro un quadro allegro .Perché si sa gli artisti ed i folli, sono visionari e sorprendenti come i bambini. Panni stesi al vento, su una tela tutta bianca.
Tizianeda
Quando arriva sera, quando hai già cenato, quando la casa poggia su un surreale silenzio perché i piccoli sono stati rapiti dal Signor Morfeo, quando pensi dopo una nevrotica giornata di lavoro, di mollemente abbandonarti sul divano con la lieta visione televisiva di una commedia, insomma quando tutto questo, ti accorgi con disappunto che il maschio adulto di casa ha scelto anche per te.
Dopo i primi 15 minuti di sconsolata visione, capitoli e te ne vai mesta a dormire.
Perché lui, ha un talento oscuro in questa scelta, la cui genesi appare misteriosa.
I “suoi” film sono ambientati:
a) dentro claustrofobici sommergibili o navicelle spaziali, dove tutti sudano, corrono, sgranano gli occhi e prima o poi si accendono luci rosse intermittenti.
b) Su alte vette, dove una o più persone si arrampicano, non mancano mai tempeste di neve e congelamento agli arti.
c) All’interno di grotte nel centro della terra in cui un gruppo di sconsiderati rimane intrappolato per tutta la durata dello spettacolo.
Il comune denominatore: qualche cosa va sempre storto, una guerra, una tempesta, un allagamento, un alieno rivoltante e malefico…. Se ci sono donne appaiono maldestre e scemotte, quindi muoiono subito.
Quanto agli uomini, muoiono pure loro, ma soltanto alla fine del film.
Tizianeda
Cinque come le dita di una mano che afferrano e tengono stretto.
Cinque come le vocali che rendono musicali le parole.
Cinque come gli anni di un tempo perduto.
Cinque come le maestre di una scuola elementare da salutare, senza potersi più voltare indietro.
“Come ti vesti per il pranzo di fine quinquennio scolastico?”
“Da funerale!”, ha risposto incisiva la decenne, mostrandosi indispettita per un tempo che, bastardo, si sfalda inesorabile.
Così, avvolti da una luce bianca, in un posto con il cielo addosso, una classe di quinta elementare, che classe più non era, tanti genitori e le maestre, hanno celebrato un addio.
Dentro un girotondo di emozioni nostalgiche, una maestra ha pianto, le bambine hanno pianto, qualche mamma ha pianto, suggellando un talento matriarcale a stare dentro le cose, con coraggio. Mentre i papà ed i ragazzini (tranne sparse eccezioni), si defilavano con il corpo o con la mente, perché si sa, l’attitudine oscura dello stare altrove è tutta maschile.
E tra chiacchiere, risate, lacrime, sguardi di intesa, amicizie consolidate, siamo rimaste ferme e vicine, ancora un po’ e ancora un po’, con addosso la silente percezione, come un dejà vu capovolto, come una premonizione, che l’urgenza del presente rapirà la memoria di questi anni lievi.
Tizianeda