La Puzzodite è una terribile malattia mortale trasmessa dalle mosche, svolazzanti insetti domestici invisi al piccolo di casa, che dinanzi alla loro ronzante visione cerca riparo in ogni possibile anfratto.
Il contatto con queste bestie feroci innesca una catena di effetti nefasti, almeno così dice il seienne:
1) La mosca infida si poggia su una parte del tuo corpo.
2) Immediatamente contrai la Puzzodite.
3) Da quel giorno inizi a pestare tutte le cacche dei cani abbandonate sui marciapiedi.
4) Gli scontri ravvicinati con gli elementi organici dei quadrupedi ti fanno puzzare terribilmente.
5) Muori.
6) Quando muori però guarisci.
7) Ma non subito.
8) Prima devi arrivare dinanzi al cospetto di Gesù.
9) Gesù sente la tua immonda puzza.
10) Capisce che sei malato di Puzzodite
11) Lui però è Gesù e non si scompone.
12) Ti tocca sul braccio, smetti di puzzare e guarisci.
13) Finalmente entri in cielo profumato.
Tizianeda
“Vai a comprare i cornetti, giù al bar”.
L’uomo adulto di casa, un ozioso sabato mattina, ha soffiato dietro le spalle della ragazzina decenne, il vento dell’indipendenza.
“Mamma, papà ha detto che devo comprare i cornetti al bar, posso ?”
“Tesoro, ma certo, papà sa quello che dice!”, sorrido inespressiva.
Sa quello che dice, spero, questo ex bambino che si arrampicava sulle impalcature dei palazzi in costruzione per poi buttarsi giù sui cumuli di terra, che finiva i suoi giochi dentro stanzette di ospedale, davanti agli occhi rassegnati di santa Gina, la sua mamma. Sa quello che dice, anche se in un tempo non lontano, saltellava felice tra le nuvole come un moderno Peter Pan. E mi serpeggia l’idea che lui non abbia il senso del pericolo, così come a un cieco dalla nascita, manca la percezione del colore.
Perciò aspetto di sentire il rumore del portone che quattro piani più sotto si richiude alle spalle di mia figlia, per lanciarmi sul balcone, disapprovata dal democratico incosciente.
Vedo la decenne attraversare lieve e colorata il marciapiede, e sparire dietro l’angolo, mentre controllo la gente passare: sono tutti malfattori, rapitori di bambini, distributori di caramelle avvelenate, spacciatori, truffatori, streghe malvagie travestite da fatine tonte.
Poi lei riappare, dallo stesso angolo, con passo soddisfatto, con in mano il sacchetto dei cornetti: il suo piccolo trofeo per il coraggio.
E capisco che in quell’angolo da valicare sta la differenza tra restare e partire, tra rimanere a terra e volare leggeri, tra il sentirsi imprigionati e una libertà da conquistare un pezzo alla volta, fregando la paura, appassionandosi alla vita, come ad un chiassoso spettacolo di strada.
Tizianeda
Tra i ricordi gioiosi dell’infanzia ci sono le feste, fatte nella rilassata confusione della famiglia allargata, tra nonni, zii, zie, cugini e….. cugine.
Crescendo, tra le piccole donne di famiglia si sono create relazioni più o meno intense, o incolmabili distanze, perché anche i parenti alla fine si scelgono, come gli amici.
Questa la “ lista delle cugine ”, con dentro quel po’ che ci rende uniche, quello che fa la differenza tra la vicinanza e la lontananza:
1) C’è quella tosta, che potrebbe guidare sola con la macchina fino a vattelaapesca, senza paura di non trovare più la strada del ritorno.
2) C’è quella dolce, quella che quando ama, ama e basta, quella che non si lagna, quella che conserva l’innocenza… nonostante tutto.
3) C’è quella che non c’è mai stata affinità elettiva, neanche da piccolissime, due pezzi di un puzzle non combacianti.
4) C’è quella caruccia, simpatica, claunesca, dai pensieri profondi e dalla lingua biforcuta, quella che da piccola si picchiava con i maschi per non essere remissiva (prendendole…perché il fisico purtroppo…), sentendo che le ingiustizie e la prepotenza erano un’onta da far pagare con il sangue, se necessario.
5) C’è quella fighissima, quella con il tacco 12 nella testa, prima che nei piedi. Quella che anche quando si smoccia riesce ad essere sexy, quella che se stringe la mano ad un uomo e dice solo “buongiorno”, lui si sente come se fosse stato invitato ad una notte di sesso selvaggio, quella che sa ancheggiare senza essere volgare, che ha le tette grosse e le gambe lunghe.
6) C’è quella che è sempre stata la prima della classe, quella intelligente, quella brava in matematica, quella che ancora oggi quando per lavoro studia, rifiorisce come se avesse fatto una seduta da un chirurgo estetico.
7) C’è quella in giro per il mondo, che vive in una bella città Europea, che comanda in un mondo maschilista, ma quando ritorna per fugaci incursioni alla sua Itaca, sa riprendersi la freschezza di figlia.
Una di queste, sono io. Una di queste di queste, porca miseria…avrei voluto essere…almeno un po’.
Tizianeda
Sei uscito dalla porta frettoloso, con la valigia in mano.
Sei lo sposo errante di questa terra capovolta, di questo posto strambo, segnato da treni sbrindellati ed interrotte strade malferme.
Quando tu vai via, divento la regina del nostro tempo ordinario, su un trono solitario.
Quando tu vai via, lo sai e ridi, i due invasori della nostra libertà, nell’ora del sonno misto ai pensieri, occupano il lettone del loro respiro caldo e lento, con pretesti truffaldini: “perché mamma, le regole sono regole e vanno rispettate. Quando papà non dorme a casa, noi dobbiamo stare con te nel letto grande ”.
Quando tu vai via, per sfiancare la paura, mi esercito nella dimenticanza di te….
E se poi ti dimentico davvero?
No, non ti spaventare, non è possibile. Io di te mi ricordo tutto.
Tranne di quella prima volta, perchè la memoria vecchia ormai di 15 anni, è annegata in un bicchiere di vino di troppo, quando mi hai vista dentro una stanza rumorosa di gente, in una sera fredda, con il mare accanto a quella casa festaiola. Tu, che ricordi, dici di aver puntato come un segugio, il mio sguardo liquido e le mie gambe nude, in una gonna allegra.
Poi ti ho conosciuto qualche mese dopo, in un altro posto, con la stessa gente, nella stagione dei vestiti lievi e sottili .
“Ero davvero brilla quella sera per non ricordare la tua bella faccia” ti ho detto.
Mi hai guardato incredulo, come si guarda una tipa un po’ stramba, un’audacia insolita, o un destino inaspettato, che sta per arrivare.
Ma ora basta. Ora che è notte, devo trovare un punto libero del letto, tra il sonno dei due inquilini. Devo riempire la tua assenza dei miei sogni, nel mare calmo di questo presente.
Tizianeda
“Mamma che vuol dire hot club?”
“Come sai tu dell’hot club, dove lo hai visto” Rispondo al piccolo di casa balbettando.
“Non l’ho visto” – e questo è già un sollievo – “l’ho letto sul giornalino che ci arriva, quello dei programmi in televisione…ti faccio vedere”.
Mi apre l’ultima pagina della rivista, e vedo fotografie di signorine in posizione monacale, rispetto al prodotto da loro offerto.
“Guarda mamma c’è scritto qua : Hot club, il bello di essere adulti..allora mamma non mi hai risposto”.
“Vedi mio caro figliolo, il cinema offre una vasta gamma di prodotti, ci sono i film che fanno ridere, film che fanno piangere perché raccontano storie tristi, e ci sono anche quelli della categoria hot club, che mostrano uomini e donne mentre si baciano e si abbracciano con passione. Non sono film molto belli da vedere ritengo, scoprirai figliolo con il tempo che questo tipo di passione, è meglio viverla quando sarai sufficientemente grande e maturo, piuttosto che vederla in televisione o al cinema”.
Questa è probabilmente la risposta che avrebbe dato una madre assennata, capace di parlare con i propri figli di sesso e sessualità, con la stessa disinvoltura con la quale si parla del tempo, con i propri vicini di casa.
Invece io ho risposto “Sono dei film terrificanti e bruttissimi”.
“Dell’orrore mamma?”
“Sì dell’orrore!”
“Allora speriamo che stanotte non me li sogno e che se me li sogno, il mio sacchetto acchiappa incubi se li prende”.
“Già speriamo amore mio”.
p.s.: il sacchetto acchiappa incubi, è una piccola bisaccia di panno rosso cucito dalle mani amorevoli dalla zia M., che accompagna come la copertina di Linus, i sonni del piccolo di casa.
Tizianeda
“Questa sera sono proprio stanco. Unf! Se penso che ancora devo radermi e preparare la valigia….. vorrei essere già a letto”.
Lui, lo sposo errante, che sognava l’abbraccio tiepido della trapunta, che guardava ai piccoli gesti preparatori del suo vagare, come alti muri dispettosi, non aveva ancora compreso che in fondo, la barba da tagliare e la valigia da riempire, sono due attività veloci e rilassanti.
Un bambino seienne con i pensieri altrove, un bidet, un rubinetto dell’acqua aperto ed un tappo ostinatamente chiuso, hanno ridato ai gesti quotidiani, la giusta collocazione nella gerarchia delle fatiche invincibili.
Perché, finito di cenare tra racconti e lamenti a quattro voci , fuori dalla cucina, i miei piedi scalzi sono stati avvolti da un liquido freddo, che lento e silenzioso aveva preso possesso del pavimento delle camere da letto e del bagno, così come l’infida acqua alta, invade Venezia .
L’uomo adulto di casa, intervenuto sui luoghi del disastro, ha reagito come se l’apocalisse fosse ormai imminente, ha incastrato il suo profondo malumore dentro un eloquente silenzio, dopo aver vaticinato una casa ormai in disfacimento, con pavimenti divelti e mobili corrosi dall’acqua.
Poi l’efficienza familiare ha avuto la meglio sullo sconforto, io aspiravo, lui passava stracci, la ragazzina aiutava come poteva, l’artefice del disastro giaceva nascosto sotto una coperta, parlando di ragni sul tetto della cucina.
Dopo due ore di fatica, di mutismo inquietante, di umido ai piedi, dopo un bel po’ di nervosismo e sudore, dopo una valigia finalmente piena, ed una faccia rasata, i quattro reietti della famigliola, si sono fatti consolare dalla notte e dal sonno.
Tizianeda
“Dio era piccolo quando ha creato quelle cose lì”.
Con il distacco serafico di un asceta, il seienne di casa, a suo agio dentro ingarbugliate meditazioni, ha risolto l’enigma della creazione e capito il senso della vita. Perché, per lui, quelle cose lì, le cose brutte, sono schizzate dalle mani di un moccioso con i super poteri, ma non ancora educato alle distinzioni: “perché dio era bambino e non capiva”. Per questo esiste la febbre, la tosse, il raffreddore, il fermamento del sangue,
“…”
“si mamma, il fermamento del sangue è quando faccio la cacca e poi mi pungono le gambe per un sacco di tempo”,
la maleducazione, le mosche, le zanzare, i calabroni e lo spezzamento di ossa.
Poi dio è cresciuto. Ed anche se per sempre l’umanità dovrà vedersela con gli effetti dei suoi capricci primordiali, per fortuna anche le opere della maturità, le cose belle, “che si hanno quando si ha la felicità, quando si può saltellare, quando si diventa intelligenti studiando e quando si possono amare le cose”, si sono incastrate nella vita come i fossili nelle montagne.
Tizianeda
Un avvocato, come me, lavora chiuso in un’aula di tribunale, chiuso in una cancelleria, chiuso nel suo studio.
A volte, però, la monotonia ambientale riceve sobbalzi inaspettati e felici.
Per esempio, un giorno, un giudice, per capire i turbamenti di un luogo dimenticato tra alte colline, ha chiamato un esperto, perché lo aiutasse a decidere.
L’esperto poi ha invitato gli avvocati, gli altri tecnici e i proprietari per andare tutti in quel posto.
Una mattina vagamente nuvolosa, lasciati a casa trucchi e costumi di scena, io e le mie scarpe da scampagnata , ci siamo ritrovate, con un architetto logorroico, un agronomo dalla voce gentile, una donna un po’ triste, un grosso contadino vecchio e solido con un lungo machete sulle spalle, e la sua rossa capra nana che credeva di essere un cane, in un paese appoggiato tra asimmetriche cupole, verdi di alberi e felci.
Come esperti escursionisti, ci siamo avventurati tra nascosti sentieri, nelle fauci di una vegetazione iperattiva.
Il contadino, parlando un linguaggio indigeno oscuro, si muoveva nel labirinto vegetale come un navigato condottiero, l’agronomo ci raccontava le storie perigliose dei suoi clienti (“perché dietro le persone ci sono storie e le storie sono belle”), l’architetto oscillava tra disciplina auto-imposta per il compito da svolgere e distrazione indotta dalle forme virili della costosa Nikon appesa al collo dell’agronomo. La donna silenziosa ed assorta chiudeva la fila, mentre la capra nana che si credeva un cane, scodinzolava.
Sparpagliato, nascosto e sospettoso, un gruppo di pecore strabiche ci spiava come gli uomini di Robin Hood nella foresta Nera, lanciandosi tra i cespugli messaggi monocordi.
Io, con le mani doloranti di ortiche che mi riportavano ai ricordi bucolici dell’infanzia, ero felice di non essere chiusa da qualche parte, ma di trovarmi fuori, avvolta da un profumo verde, che mi proteggeva come una benevola preghiera, da un quotidiano nevrotico.
In quel ventre umido sospeso dentro un odore antico di terra, con questa surreale compagnia, quella mattina, mi sono sentita un po’ più umana, un po’ più vera.
Tizianeda
Dentro uno spazio di 90 mq, un pomeriggio qualunque, l’unico adulto presente tra minori persi negli intrichi dei compiti scolastici, sa di non avere scampo.
Prima o poi la fatidica frase, come un mantra antico, giungerà alle sue orecchie sonnecchianti : “Mamma vieni!?”.
“Sto studiando geometria” dice un giorno la ragazzina di casa. Mi agito.
La mia saggia non più bimba tuttavia mi rassicura “Non ti preoccupare, voglio soltanto che ti siedi accanto a me. Devo calcolare l’apotema.”
“…….”
Mai sentito nominare.
Ripeto nella mia mente la parola oscura, che risuona come una maledizione primitiva tra le labbra livide di una Strega bitorzoluta .
Poi ritorno alla realtà che è questa decenne persa tra calcoli e improbabili figure geometriche, che mi chiede di starle accanto, perché l’apotema si sopporta meglio in due.
Ma un giorno non lontano, senza chiamare nessuno, prenderà un apotema qualsiasi sotto braccio dimenticando la paura. Sfrontata lo guarderà dritto in faccia e lo bacerà, come fa la principessa delle favole con il rospo bavoso. E no…… non diventerà un noioso principesempreazzurro, ma rimarrà fermo e inebetito dallo stupore, per tanta improvvisa audacia.
Tizianeda
“Mamma hai visto anche tu!”
“No”
“Guarda sono passati tutti. Hai visto!?”
“Non sono inglesi, sono sicuramente Italiani”
Le tre famigliole in vacanza, fiere portatrici della civiltà italica, sono paralizzate davanti a un categorico segnale rosso di un semaforo pedonale, come fedeli sentinelle tuttavia …….solitarie.
Perchè la ragazzina decenne ha ragione, l’ostinato e ottuso rigore pedonale di un tempo qui non esiste più.
Il popolo britannico e le sue felici contaminazioni multietniche, ignorano quell’oggetto psicadelico tri-colore, che un tempo, monotono ed imperturbabile era il monarca indiscusso del traffico pedonale, ed oggi pare non filarselo più nessuno. Tranne questa compagnia fornita di minori impazienti, che si blocca davanti all’omino luminescente rosso mentre Londra gli sfila accanto, tra uno spallata frettolosa ed un immancabile “sorry”.
I ricordi della timorosa quindicenne di un quarto di secolo fa, sono stati risucchiati da strati di cambiamenti che non riguardano solo il traffico. Dalla mia memoria sono sparite le figure austere e sprezzanti . Sono sparite le frasi sibilate, per rimarcare una presunta genetica cattiva educazione. Al posto di questi arcigni personaggi, dentro questa moderna città vittoriana, si sono materializzati gruppi di giovani e meno giovani, uniti dal chiacchiericcio e dalle risate, come gaudenti e chiassosi popoli latini. Sono spuntati, chissà da quale mutamento temporale, sguardi gentili, incredibilmente disponibili e mai spazientiti per il nostro inglese preistorico.
Ma soprattutto sono apparse fluttuanti e leggere donne e ragazze dall’eleganza multiforme, originali e fighissime, mentre io con i miei raffazzonati completi dagli accostamenti cromatici anarchico-terroristici, sono l’unica vera anglosassone, però bloccata negli anni ottanta.
”Mamma ti devo confessare una cosa. Questi Londresi mi piacciono un sacco!”.
Circondato da tanto tripudio di bellezza umana architettonica e naturalistica, il seienne di casa, dopo avermi chiusa con lui dentro il bagno della stanza dell’albergo, ha dato libero sfogo ai suoi sentimenti anglofili.
Ed ha ragione, anche a me questi Londresi piacciono un sacco.
Tizianeda