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Quando la nonna Bianca venne “prosciolta dall’obbligo dell’istruzione elementare” della scuola del Comune di Melicuccà, era il 1905. Prosciolta, come se l’istruzione fosse un’accusa di cui finalmente liberarsi. Era brava la nonna a scuola, specie in matematica con quel dieci svettante sugli altri voti, più che nei lavori donneschi, cui si dedicò comunque, una volta uscita dalle aule. Ché a continuare gli studi fino alla laurea, tanto, ci pensavano i fratelli. E sì che lei veniva da una famiglia che i libri, come il pane, non mancavano, affezionato com’era, il padre Carlo, alle parole, che nutrivano il pensiero e la malinconia. Ma il destino delle donne, anche in una casa illuminata, quello restava. Dentro le stanze, a lasciare che i fratelli studiassero, partissero, vivessero la vita, quando non interrotta dal padreterno o dal bisogno di altri uomini di sconvolgere i confini delle Nazioni, facendo della gioventù carne fresca per le bare e pianto per le madri. La nonna Bianca aveva delle sorelle, prosciolte anche loro dalla scuola, ma non dai doveri delle donne, che creavano un solco largo abbastanza, da dividere i destini tra maschi e femmine, tra la vita fuori e quella dentro.
La nonna Bianca non l’ho mai vista giovane, se non molti anni dopo la sua morte, in una foto nascosta in una scatola di latta, tra i ricordi degli assenti. Da vecchia sorrideva poco e leggeva molto seduta nella penombra accanto all’anta della porta-finestra semi aperta. Mi piaceva la nonna e io piacevo a lei, spaventata com’era che mi potessi sgretolare nel vedermi fragile e vinta dai sussulti dell’anima. Non so se ha mai pensato a un destino diverso per noi nipoti femmine, un destino riversato nella vita, che in parte si era costruita la figlia, mia madre, con l’ostinazione dello studio e con lei le sue cugine. Parlava poco mia nonna e ci intratteneva con i suoi giochi di bambina, di quando stava attorno al braciere con le sue sorelle e fratelli e il mondo ancora, non era stato frantumato dalle vicende della natura e degli uomini. Ci guardava come chi ama, con il pensiero del nostro futuro addosso. Ci guardava come ora guardo la sua pagella del 1905, in un rimbalzo palindromo del tempo, con la pronipote Valentina. Penso a mia nonna, penso alle donne prima di noi, che chissà cosa avrebbero voluto e non hanno potuto. Guardo Valentina che la nonna Bianca l’ha conosciuta attraverso i nostri racconti. Ci capiamo e sorridiamo.