Ago
Ago
Prendo ago e filo e provo a ricucire i lembi di un lenzuolo strappato, forse dalle gatte. Non mi dispiace il gesto, mi dà calma, allinea i pensieri, mi fa credere che non sempre tutto è perduto, che la possiamo ricomporre la vita, che non si può darla vinta a quell’angolo sconfitto di materia, anche se ora sul lenzuolo appare una cicatrice storta e rigonfia. Sono una pessima rammendatrice. Si capisce dalla scatola di legno piena di fili, aghi, persino spilli, regalata molti anni fa da una donna fiduciosa di un mio potenziale talento, che non ho mai voluto approfondire. Guardo il risultato, è pessimo, ma il lenzuolo ora può essere riutilizzato nonostante la cicatrice e il tessuto che non tornerà più come prima. Lì prima c’era una ferita, un sudario aperto, che ho riparato, come si fa con i ricordi cattivi e le loro conseguenze, che lasciano un alfabeto di segni. Le cicatrici sono il vocabolario dei sopravvissuti, del resto.
La materia è fragile penso anche, come noi umani , come la vita che credi di controllare, ma basta un niente, un artiglio qualunque ed è bella e sconvolta.
Allora mi affido al gesto, alle dita che curano, reggendo tra pollice e indice un oggetto semplice e minuscolo, alla stoffa che deve essere attraversata per ritrovare la sua nuova forma, per ritrovarsi nonostante l’offesa.
Forse ho capito il valore della scatola regalata molti anni fa, che mi ha aspettato con pazienza, e che ho evitato, temendo che mi confinasse in un ruolo non voluto. Rammendare è un gesto rivoluzionario, e in quella restituzione di senso e di cura sorridiamo e stiamo, almeno per un po’.
