Un’altra madre

Mia madre è al mare. Dieci giorni. È sempre andata al mare d’estate. Agosto, un mese intero. Anche in vecchiaia, sola, dopo la morte di mio padre. Lo ha fatto per nostalgia, indipendenza, perché lei sta bene in tutto ciò che si ripete e sembra immutabile. È andata sempre, fino all’estate scorsa. Un intoppo di ossa l’ha costretta a casa e quasi immobile. Per lei così naif e ribelle, una condanna. Poi il dolore è passato come l’estate e molte altre cose. Il suo corpo piccolo ha ripreso a muoversi, lei è cambiata. La madre ritrovata è diventata un’altra madre. Ancora ribelle, ancora naif, più arrabbiata, più bambina, insofferente a chi l’accompagna per necessità sua e nostra. Al mare come in città.
Noi figli siamo i genitori che proteggono la fragilità delle sue ossa, il nuovo modo di funzionare dei gesti e del pensiero, i labirinti in cui si è infilata, le ossessioni, la realtà che si è costruita attorno. Oscilliamo tra il bisogno di proteggerci dal troppo che è e l’urgenza di prevedere i disastri. Ognuno per come sa di sé.

Ho sognato una sottrazione di specchi la notte scorsa, nella casa del paese di mia nonna, sua madre. So che questo sogno ha a che fare in qualche modo con lei, con le madri, con quello che ci restituiscono della nostra identità , con il nostro specchiarci, di ritrovarci in loro, di fuggire da loro. Ha a che fare con il tempo che partorisce perdite. Perdite di amori, amici, luoghi, giovinezza, frequentazioni, intimità, convinzioni, occasioni, parole e gesti prima famigliari che si sfaldano in ciò che muta, perdono di significanza, lasciando un senso di incompiuto, lo sguardo liquido. Perdite delle madri che invecchiano nonostante la materia che resiste.

Forse è una percezione dilatata del reale, la mia, in questo tempo che sembra implodere insieme alla nostra umanità, ridotta a una fiammella su cui soffia un fiato cattivo.
Oppure è proprio per questo che le madri ci mancano.

Tizianeda

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