Ott
Ott
Mia madre parla della morte come se raccontasse una storiella divertente. Per il suo funerale ha scelto la colonna sonora. La canzone d’ingresso in chiesa si intitola: “Eccomi eccomi vengo”. Lo ha scritto su un biglietto custodito in un cassetto. Per lei la vita e la sua fine sono eventi scontati e lineari, come la vecchiaia, il tempo che passa, le belle canzoni, sposarsi, fare figli, imparare le tabelline, i padri che vanno alla guerra, il corpo che cambia, i pidocchi da sfollati, gli amori che iniziano e quelli che finiscono, le malattie, le nascite, il rosario la sera, le paste la domenica, il mare a luglio, il salotto con la porta chiusa a chiave, doppia mandata rafforzativa del concetto. La predica a Don Marco non l’ha scritta, non sta bene dice, anche se io la esorto a farlo ché quel giorno non la può ascoltare. Ridiamo. Non solo della morte, ma anche della vita. Ché io mica l’ho capita la vita e allora se rido con mia madre, mi pacifico di ogni mia mancanza e difetto di nascita. E a volte lei annusa che ho ‘sti dubbi e punti interrogativi nella testa e smarrimenti e mi interroga e io cambio discorso, come i canali della televisione, perché non so come spiegare, perché lei mi sembra da proteggere e basta. Così si parla d’altro, tipo il suo funerale, le sue amiche, il libro che sta leggendo, il corpo che le duole a portarselo sempre appresso e parla, parla tantissimo, che non so dove trova tutte le parole e il fiato per tirarle fuori. L’ascolto, a volte mi assento, a volte mi chiedo che creatura è mia madre. Che creature diventano le madri quando invecchiano e il corpo si accartoccia. Non lo so. Allora sto con lei e giochiamo, siamo due bambine che lanciano dadi sul tavolo. Il tempo diventa un’architettura che capovolge le regole dello spazio. Ridiamo.