Dic
Dic
Mia sorella da qualche mese si è trasferita nello stesso palazzo in cui abito io. Che poi è quello dove siamo nate e cresciute e dove vive anche la mamma vecchietta. Ora che è qui, ci scambiamo i vestiti, come quando eravamo ragazze e suoniamo alle porte l’una dell’altra. Io scendo di un piano, mentre lei le scale le percorre salendo. Quando vado giù mi piazzo sul divano o le tengo compagnia in cucina, poi mia sorella prende tutti i pacchi di biscotti che ha e insiste perché li mangi. Io dico sempre di no, solo che vince il desidero e assaggio prima mezzo biscotto, poi un altro mezzo e mezzo alla volta finisco per mangiarmene più di uno. L’altro giorno ha tirato fuori da una vecchia busta, delle lettere anni ’90 scritte da me a lei. Le aveva conservate e le ha trovate per caso tra le carte prese durante il trasloco. Sono lunghe lettere strampalate di auguri, sfoghi amorosi di un’ironia melodrammatica, che mi ha fatto rivalutare la me adolescente, che nella mia memoria attuale è sempre malmostosa e arrabbiata. Ma soprattutto rivelano nel loro essere naif e a tratti folli, l’amore intimo tra sorelle, che incurante delle profonde e incolmabili diversità, si accomoda tra le pieghe dei giorni, offrendo delle possibilità di salvezza da se stessi e dagli eventi, educandoci anche all’idea di una comunità, in questo caso di due persone, di cui prendersi cura e a cui rivolgersi, quando pensi che il mondo e tu con lui, siate perduti.
Mentre osservo in questi mesi l’andamento degli eventi e cerco di capire cosa ha provocato, dentro tutti noi, la frattura ancora aperta di questi ultimi due anni, mi accorgo che mi aggrappo sempre più al piccolo, all’impercettibile, al gesto minuto, o a quelle apparizioni improvvise che si offrono dentro giornate faticose, ma che mi restituiscono il senso di umano che a tratti si sbiadisce perdendo colore. Tutto questo mio sostare è un atto di resistenza all’incomprensibile e alla paura, pensando, forse ottusamente, che il buono dell’esistenza possa essere custodito lì. Come nelle vecchie lettere di un’adolescente sciocca che lascia messaggi alla lei del futuro per poterla rivalutare. O come nel sorriso da Buddha illuminato di un bambino, rivolto a una me sconosciuta che lo guarda. E lo fa mentre attraversa la strada con la madre, così pieno di fiducia e inconsapevole della scintilla che è stato capace di innestare in una donna chiusa in una vettura, a tratti più tentata dal cinismo e dalla disillusione che dalla meraviglia.
Il disegno è di Fabiana Canale (a proposito di meraviglia). Tratto dalla sua pagina Fabiana Canale – Arteterapia e SoulCollage a Firenze
