I telefoni e le stanze

Quando lo sposo un tempo errante ma oggi ormai presente, ha detto con tristezza a Tizianeda, che dovrà disattivare il numero di telefono della casa di nonna santa Gina che non c’è più, lei, che ha avuto la sensazione di una luce che si spegne in una stanza, ha pensato.
Ha pensato ai numeri delle case di un tempo senza cellulari. Un solo numero, per tutti gli abitanti delle stanze. Ha pensato ai telefoni grigi con la rotella, regina della lentezza, poggiati nel mezzo del movimento familiare, nemici della privacy e delle confidenze. Che ci potevi stare una giornata, che tanto si pagava uguale. Poi però i genitori te la facevano pagare loro, per appropriazione abusiva a tempo indeterminato dell’oggetto comunitario.
Ha pensato che ogni numero importante si fissava in testa come una filastrocca musicale. Che era molto più di una sequenza aritmetica. Era una storia, un luogo, un’emozione, era sentimento. Ancora oggi a raccontare numeri antichi che non usi più – perché le case si sono svuotate, o perché semplicemente la vita ti ha condotto dentro altre stanze – insomma ancora oggi quei numeri hanno la magia della evocazione. Perché quei numeri allineati come un filo, riportano dentro stanze abitate, anche se ormai popolate da fantasmi. I numeri di telefono delle case erano una formula magica. Bastava pronunciarli per materializzare le vite cui appartenevano .
I numeri di telefono delle case ripetuti e familiari, erano Natale, Pasqua, compleanni degli zii e dei nonni. Erano la voce di tua madre, erano chiama e poi hai chiamato?, erano il mantra delle feste comandate. Erano i doveri mischiati all’affetto.
E pensa al numero delle amiche del cuore che si stava ore al telefono ché tanto la tariffa era sempre uguale. E si chiamava con la scusa dei compiti da dirsi e si finiva per raccontare tutta la storia dell’umanità. La propria umanità fresca che voleva tante parole.
E ricorda i numeri del tempo della stupideria giovane. Quelli che componevi tremando, solo per sentire la voce del ragazzetto che ti piaceva. Quello che riattaccavi subito, come un paracadute da aprire appena lanciati dall’aereo per paura di precipitare. E quel numero era adolescenza, risate isteriche e batticuore. Era una casa che non sapevi, ed era il volto del tipo ed era la sua mano che teneva la cornetta e le labbra che si muovevano per dire pronto. Ma eri tu a non essere mai pronta e non c’erano selfie e filtri a darti coraggio. C’era quel filo con cui ricamare l’immaginazione e l’amore acerbo e non vissuto.
Oggi Tizianeda porta con sé, come un arto, il suo cellulare, pieno di messaggi scritti, ma senza stanze evocative in cui entrare. E’ il suo tempo liquido, in fondo, con il privilegio di essere raggiungibile ovunque, di avere un numero tutto per sé e di non avere sforzi di memoria aritmetica. E’ il tempo senza fili. Di tutti i numeri di cellulari conservati nella memoria dell’oggetto magico, ne ricorda solo uno. Il telefono di casa lo usa perlopiù per sentire lo squillo del telefonino perso e così cercarlo per le stanze. Non si è mai soffermata a pensare in quale luogo quello squillo la conduca, quali emozioni e sensazioni.
La prossima volta che lo smarrisce e fa questo gioco casalingo, magari si risponde per capire il suo sentire. Anche se già sa che chi l’ha chiamata riattaccherà.

Tizianeda

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