Il linguaggio di Dio

Degli esami di terza media, l’unico ricordo che ho è la
domanda che non mi fece il professore di matematica. Nel senso che non me ne
fece alcuna. Troppo convinto che le mie risposte si sarebbero arrampicate su
logiche  creative, ma poco attendibili. Se
prima di allora calcoli, equazioni, problemi, equivalenze e altro, le
comprendevo come il messaggio di un  alieno  pronto
a disintegrarmi, dopo quel giorno il mio amore mai iniziato con la matematica,
è stato rinchiuso negli scantinati delle relazioni impossibili.

Perché il professore, con quel gesto, a cui non so se la mia
memoria ha aggiunto un ghigno beffardo, ha dato l’estrema unzione all’ area
celebrale, già compromessa dalla nascita, della intelligenza algebrica.

Vi è da dire che nel corso del triennio, gli effetti
collaterali che la matematica mi provocava, aveva riempito di stupore il prof
in questione. All’arcano mistero lui non era pervenuto a soluzione, neanche
facendo uso del complesso, perfetto, logico linguaggio dei numeri, che tanto sa
e spiega. Pare infatti, che la matematica abbia una formula per l’amore e che l’Universo
si racconti attraverso la perfezione di calcoli e geometrie. Dio, insomma,
parla con il linguaggio dei numeri e io non lo capisco. Che è un po’ come non
sapere l’inglese, ma pensando un po’ più in grande.

Per fortuna il Karma se da un lato ha tolto, dall’altro ha
graziato. Dopodomani il tredicenne chiuderà il suo triennio nelle scuole
secondarie. Sarò lì, serena,  ad
assistere ai suoi esami orali. E ad ascoltare la domanda, che molti anni fa, il
professore di matematica, non mi fece.

Tizianeda

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