La gente sta male

La gente sta male. Per comprendere il tasso di disagio esistenziale e di civiltà di un popolo, non occorre scomodare analisti, filosofi, esperti di economia, politologi, raffinati letterati, teologi, lettori dei fondi di caffè, sensitivi e guru di ultima generazione, guaritori di anime a favore del proprio conto corrente. È sufficiente salire sulla propria autovettura e guidare in città. La guida smette di essere un gesto meccanico di pedali pigiati e marce da cambiare a leva leva: prima seconda terza quarta quinta. A Reggio Calabria, per esempio, guidare è un’esperienza di sopravvivenza, è una prova di resistenza del proprio sistema nervoso, di controllo del turpiloquio, della propria devozione al divino. È repressione del desiderio di scendere dalla macchina con una mazza pesante da baseball. Anche perché se arrivi a malapena al metro e cinquanta, la mazza è più pesante di te e poi chi si tiene nel cofano una mazza da baseball. Se volete diventare maestri zen ed evolvervi in questa vita , non richiudetevi in conventi né sottoponetevi a estenuanti esercizi metafisici. Non è necessario. Venite a guidare a Reggio Calabria. Se poi non amate guidare, o siete affetti da quella sindrome genetica di cui non avete alcuna colpa, quella che vi ha costretti appena maggiorenni a fare lezioni aggiuntive, tutte inutili, di scuola guida, avrete una maggiore percezione della realtà veicolare che vi sta attorno. Per il semplice fatto che il guidatoredimerdacronico consapevole, per compensare i propri deficit, è rispettoso di tutte le regole. Va piano, aziona le frecce, non parcheggia mai in doppia fila, non suona il clacson per sfogare le varie impotenze fisiche ed esistenziali, rispetta semafori, stop, precedenze, glorifica le strisce pedonali, quando accede a una rotatoria usa la prudenza di un artificiere e si affida alla madonna, sa che motorini e pedoni sono il male. Ma il guidatore rispettoso si muove in città come un povero Marcovaldo circondato da malessere, frustrazioni e indifferenza nei confronti degli altri, assunti a entità ectoplasmica e quindi inesistenti. E nell’accorgerti che ognuno preso dai propri disagi, dal male di vivere, dalla fatica, dalla rabbia, dalla mancanza di strumenti cognitivi e culturali, dalla perdita di attenzione e di senso della collettività, sei presa da uno sconforto profondo, sentendoti prigioniera dentro una bolla, in cui l’inferno dei vivi sembra aver avuto il sopravvento. E ti verrebbe voglia di raggiungere distanze siderali per non assistere allo spettacolo brutto che ti si mostra davanti, scappare in Aspromonte dove tutto è silenzio e natura. Poi però pensi che questo fine settimana si vota e tu andrai al seggio perché non riesci davvero a essere indifferente, anche se assisti ogni giorno alla morte della ragione e del sacro e, a ben vedere, anche tu non ti senti molto bene.

La foto è di Marco Costantino

Tizianeda

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