Ott
Ott
Ottobre sembra già finito e il tempo, in questo giro di autunno ancora estivo, sta correndo altrove. Forse annusa l’aria, sente lo spavento dell’umano. C’è un che di smarrito nelle foglie e negli alberi, persino il mare assorbe la gran cassa dell’incerto. Nelle macerie ci si aggrappa al piccolo, al suono infinitesimale, alle coccinelle che si posano sul dorso della mano e ti senti appena felice per quell’attimo in cui credi alla fortuna. Una dottoressa, oggi, indossava scarpe insolite. Le persone le puoi capire dalle scarpe, specie se non obbediscono al contesto. Lei scruta gli organi con un ecografo, per scongiurare tracce di disumano. Le sue scarpe resistono ai passaggi di dolore, sono il suo dettaglio narrativo. Ha sorriso a mia madre, mentre osservava sorpresa sullo schermo, la giovinezza del suo interno. Ha gli occhi grandi ed è gentile, è lei la coccinella sulle mie dita, in questa mattina di ottobre che fugge. La incalzo di domande. Nei suoi racconti mi immergo nell’umano, finito e dolorante, mentre fuori il mondo gioca a scacchi con la follia. La salutiamo, lei resta sola nella stanza, in attesa della processione dei corpi, nella sua cellula di resistenza. C’è il cielo del sud ingannatore ad aspettarci, lui sembra non smarrirsi mai, così lontano dal nostro chiasso, dal tempo delle nostre scontentezze ricoperte di glassa. E così ogni accadere, mentre in una stanza una donna sola, con le sue scarpe carioca, gli occhi grandi e un sorriso gentile, accoglie il cuore degli altri contenendoli tutti, con grazia, con bellezza, senza fare rumore, come una coccinella.
