Il primo bacio

“Mamma quanti anni avevi quando tu e papà vi siete baciati per la prima volta?”
Ma perché mi chiede ciò, la mia graziosa decenne nella fase pre-adolescenziale?
“Sai mamma ho visto fuori dalla scuola due ragazzini che si baciavano?”
Ecco. Magari era un bacetto di quelli veloci veloci o di quelli doppi sulle guance come si fa ai funerali . No impossibile, sarà stato un bacio lumacoso..sicuro! Tizianeda dai, ti fai prendere dal panico come una bacchettona. Tutto questo è normale. Anche tu sei stata curiosa tanti tanti tanti tanti anni fa, quando eri una preadolescente ansiosa di diventare donna, confusa da un vortice informe di sensazioni e immagini.
“Avevo ventotto anni quando papà mi ha baciato per la prima volta”.
“Così vecchia?”
“Papà lo conoscevo da qualche mese”
“Ma quando papà non c’era, il tuo primo primo bacio”
“Avevo diciassette anni”
“Oh, pensavo almeno a sedici”.
“Cosa cambia è solo un anno di differenza”
“No…così”.
Vorrei dire tante cose, a questa ragazzina dagli occhi di quel colore strano lì e così svegli, ma poi penso che sarà la vita a raccontarle la sua storia. Ad aiutarla ci penseranno il passato e un destino che hanno giocato perché lei fosse qui e ora con le sue domande curiose. Così le parlo di quella prima volta con il suo papà davanti al mare, di una gioia confusa e spaventata e di come quel gesto coraggioso e deciso dell’uomo adulto di casa (io di coraggio ne avevo molto meno) è stato il pulsante che ha azionato un meccanismo affascinante che ci ha portati a questo presente. Proprio come il misterioso effetto farfalla, che con un lieve colpo di ali scatena l’uragano in un’ altra parte del mondo, lontano lontano.

Tizianeda

Allegra e sbrindellata

E’ ritornato nei 90 mq della famigliola dentro il suo contenitore marroncino, lungo e immobile come il sarcofago di una mummia. Lo stesso da ormai dodici anni. Dodici anni in cui mani allegre tolgono i sigilli con stupore innocente, ancora di più oggi che le mani sono diventate otto, ancor di più oggi che l’operazione assemblaggiopezzialberodinatale è diventata un tripudi di caos, risate, grida e brontolii.
I quattro della famigliola, sabato si sono svegliati con in testa l’Albero di Natale che giaceva in tanti pezzi nel soggiorno. Si sono svegliati pronti per l’attività di alta ingegneria che li aspettava, anche se poi non tutti hanno svolto le stesse attività…

1.
L’operaio.
Dei quattro è il più concentrato, il più serio il più metodico. Prende, monta, apre i rami chiusi da un anno, sta attento a non danneggiare mobili pareti e suppellettili, anche se è inutile perché tanto ci sono gli altri tre. Borbotta, monta le luci in modo che l’effetto tripudio luccicante sia il migliore possibile, anche se l’Albero forse è un buco nero che assorbe la luce, scatenando l’ira dell’operaio che ogni anno acquista nuove lucine, inutilmente. Da’ direttive, richiama all’ordine gli indisciplinati, poi si arrende al caos familiare ed all’eccitazione collettiva. Lui è l’uomo adulto di casa.
2.
La rivelazione.
Il montaggio dell’Albero è sempre stata una faccenda che non lo riguardava. Prima si nascondeva tutto il tempo dentro il contenitore svuotato, sordo ai richiami degli altri. Quando l’oggetto natalizio era completo di palle e decori , occupava il suo tempo a spostare gli addobbi , danneggiare, nascondere tra i rami pezzi di casa, scuotere, giocare con le lucine, provare a spegnerle soffiando, rompere qualcosa. Quest’anno invece senza preavviso, e con grande stupore della micro comunità familiare, ha abbandonato il ruolo di devastatore indifferente, per assumere quello di assemblatore zelante di pezzi di albero con il suo papà. Lui è il settenne.
3.
L’elemento glamour.
In mezzo a noi mal vestiti, si aggirava una ragazzina sistemata per l’occasione che spiccava come un fiore in mezzo alla steppa, tra tute consunte, vestaglie azzurre con orsetti, e maglioni over size. Con i suoi pantaloni fucsia e la maglietta brillantinata color tortora, si è aggirata lieve tutto il tempo aspettando che gli uomini di fatica finissero il loro umile lavoro, e dopo aver spostato il ciuffo dei capelli prima a destra e poi a sinistra almeno mille volte, si è dedicata alla successiva attività estetica di collocazione degli addobbi.
4.
La fotografa.
Ha indossato un enorme maglione di pile dello sposo, grossi calzettoni di lana rossi che fanno molto Natale, e si è aggirata in mezzo al caos familiare. Ha fotografato lo Sposo errante mentre assemblava borbottando contro le luci, il settenne sotto il peso dei rami sintetici che trasportava, la decenne seduta che guardava toccandosi con gesti lievi e femminili i capelli, i suoi piedi rossi, i sorrisi di tutti, il movimento, le palline di natale sparse sul tavolo, l’Albero in tutta la sua magnificenza con le lucine che non illuminano mai abbastanza, gli addobbi di forme e colori diversi messi a caso dai minori, tutto molto lontano dalla perfezione armonica che vedi nelle riviste.
“L’Albero di Natale più brutto del mondo” dice ridendo lo Sposo Errante.
“No, allegro e sbrindellato…come noi” gli risponde la fotografa Tizianeda, guardando quel monolite verde, pensando che la felicità è proprio così, sbrindellata e allegra.

Tizianeda

Come le piccole cose

Oggi Tizianeda vuole ringraziare il suo piumone, il suo cuscino e le lenzuola, loro che sono la costante rassicurante presenza delle sue notti invernali, i suoi amichetti del cuore nei momenti di stanchezza narcolettica.
Vuole ringraziare la torta al cioccolato e pere che ha preparato con mani benevole la sua amica dalla voce calma e la risata avvolgente. Perché per quattro giorni Tizianeda si è svegliata la mattina con il piacere già in bocca che le avrebbe procurato quel dolce scuro e morbido.
Vuole ringraziare la sua mamma vecchietta, ché un pomeriggio mentre stava per addentare l’ultima fetta di quella torta , le ha detto che é ingrassata pizzicandole i fianchi. Tizianeda ha detto addio per sempre alla fetta incamerando un granitico malumore .
Vuole ringraziare il giramento di testa che l’ha bloccato a letto un pomeriggio, impedendole di dividere i due minori debosciati che tra risate isteriche e grida di guerra si sono menati come due belve da combattimento .
Vuole ringraziare quegli studiosi, tutti senza figli ovvio, che sentenziano con certezza monolitica che i fratelli più si picchieranno da piccoli più si vorranno bene da grandi, perché dopo quelle botte Tizianeda pensa che l’amore tra i due tipi, un giorno sarà immenso.
Vuole ringraziare la cannella perché è una parola bella e antica e un profumo che la porta indietro nel tempo dentro una bottega bianca di farina, di forme tonde e vive destinate a tramutarsi come un incanto natalizio in dolcetti Svedesi.
Vuole ringraziare le calze 40 denari. Perché prova un piacere sadico nel pensare che sotto quella spessa coltre di nailon si nascondono due gambe dall’ ecosistema rigoglioso, che nessuna mai vedrà.
Vuole ringraziare lo Sposo errante, perché la sera quando la casa gli restituisce la stanzialità, non si dimentica di ascoltare la lezione di Storia della decenne, spiegandogliela. Perché come un fotone vibrante la passione del padre passa nella testa della ragazzina, che assorbe lo stesso sguardo curioso sul passato, come la clorofilla la luce.
Vuole ringraziare gli sconosciuti quando sono gentili così all’improvviso, quando entrano lievi nella tua vita giusto quell’ attimo per poi scomparire ancora. Come una donna alta alta senza nome che ha sollevato da terra la mamma vecchietta caduta per strada, restituendole chiavi e scarpe sparse sul marciapiede.
Vuole ringraziare un alto funzionario di vattelappesca presentato a Tizianeda, che ha scherzato tutto il tempo sganasciandosi dalle risate, dicendole che mentre gli uomini lavorano, le mogli fanno acquisti usando le carte di credito dei mariti. Tizianeda avrebbe voluto lanciargli in testa il computer che aveva nella borsa. Non lo ha fatto e un po’ se ne è pentita.
E vuole ringraziare la buona notizia che ha avuto oggi, dentro una giornata fredda e acquosa, in cui le hanno detto che no è tutto ok, che è stato un errore con tante scuse. Però Tizianeda ha avuto paura in questi giorni. Ha avuto paura per una persona amata da tutta la famigliola, amata da lei. Per questa persona che è una costante densa nella sua vita. Che è come le piccole cose che ti fanno dire grazie, come il tepore, come la gentilezza,come un dolcetto fatto in casa, come un bel ricordo.

Tizianeda

La città dove la famigliola vive

“La città dove la famigliola vive è un posto moooolto bello ed accogliente.
La famigliola è taaanto fortunata, perché la città dove vive è pulita e piena di alberi.
La città dove la famigliola vive è ricca di aree verdi e linde dove i bambini possono giocare.
La città dove la famigliola vive è stata costruita secondo rigidi parametri urbanistici, nel rispetto delle regole grazie al fermo controllo degli onesti funzionari sparsi per gli uffici .
La città dove la famigliola vive ha le strade perfettamente asfaltate. Non ha memoria la famigliola di deformazioni o di buche e dio non voglia, di enormi voragini, dove per esempio, ma proprio per esempio, vi potrebbe precipitare un enorme camion dei pompieri, di quelli che fanno casino con le sirene e salvano la gente dai palazzi in fiamme.
Nella città dove la famigliola vive si fa la raccolta differenziata. Di spazzatura…non se ne vede traccia per le strade.
Nella città dove la famigliola vive c’è sempre silenzio.
Nella città dove la famigliola vive, gli amministratori sono tutti capaci ed onesti. In questi anni hanno trasformato la città bella e gentile, in un Eden, un luogo ambito dai turisti di tutto il mondo, una metropoli dotata di ogni confort come un albergo a cinque stelle, di quelli che trovi le pantofoline grassottelle per la doccia o il cesto di frutta con i ringraziamenti della direzione.
Nella loro città, non c’è malaffare e i politici pensano incessantemente al bene comune della gente. Non ci dormono la notte per trovarlo. La cultura è al primo posto delle cose da realizzare. Mica qui si invitano quei personaggi della televisione per farli passeggiare d’estate per le strade frequentate. O si chiamano cantanti internazionali dalla carriera in declino, pagandoli un mucchio di soldi, mentre per esempio, ma solo per esempio, la gente in casa non ha l’acqua. Nooooo! I soldi pubblici non li sprecano così. Qui si investe anche sulla formazione mentale dei ragazzi. Infatti le scuole sono tenute in gran conto. Per non parlare degli asili comunali. Pensate che proprio in questi giorni “36 maestre che amano la città”, hanno manifestato davanti al Palazzo comunale, per ringraziare gli amministratori del rispetto e dei riconoscimenti che hanno ricevuto in questi mesi. Non come in certi altri posti dove le maestre si addossano le spese dell’asilo per poter andare avanti in qualche modo, loro ed i bambini.
Nella città in cui la famigliola vive non succedono mai cose stranamente sconvenienti o ambiguamente drammatiche. Gli amministratori sono talmente onesti che girano con le suole delle scarpe bucate, poveretti, o le giacchette consunte, che sembrano usciti da una storia del libro “Cuore”. E se sbagliano, tranquilli lo ammettono subito e se ne vanno, scompaiono, si eclissano, in preda alla vergogna ed ai sensi di colpa. La famigliola ama coloro che ci hanno amministrato in questi anni e reso la loro città bella e fiorente. Per questo augura loro ogni bene possibile, che Dio li abbia in gloria e un giorno li accolgano i martiri del cielo, che tanto sono lì ad aspettarli!
Nella città dove la famigliola vive ci sono anche tre Commissari, intensamente voluti dai nostri sagaci ed onesti amministratori. Loro, gli amministratori, essendosi avveduti di un avanzo di denaro pubblico di circa settecento milioni di euro, hanno richiesto la nomina di questi tre uomini del Governo, per essere assolutamente certi che questa montagna di soldi, non finisca nelle mani di affaristi e malavitosi. Siamo meglio di un civile e moderno paese del Nord Europa! Come è fortunata la famigliola. Come sono fortunati i suoi concittadini!”…

…”Cosa stai scrivendo” chiede a Tizianeda, lo Sposo Errante mentre suona “One” degli U2 con il suo strumento amato, il basso elettrico.
“Niente…sogno”.

Tizianeda

Un complicato inevitabile stadio dell’esistenza

“Sono l’unica che non esce sola con i compagni…tu mi fai sentire diversa!!”
Quando arriva è come un botto inaspettato che ti fa sussultare, una porta che si spalanca forte su una stanza sconosciuta, un enigma pieno di grovigli e trabocchetti. Così, ti senti come quando hai una parola sulla punta della lingua ma proprio, proprio non spunta dai meandri della memoria.
Quindi inspiri ed espiri, evochi tutte le energie benefiche del cosmo, speri che la Forza sia con te, sentendoti come Frodo nella Terra di Mezzo, come Obi-Wan Kenobi alle prese con l’Impero Galattico, come Teseo nel labirinto del Minotauro.
Solo che qui non hai di fronte un orrido mostro, ma una graziosa bambina con due grandi lirici occhi azzurro-grigi, circondati da ciglia ipnotiche. Una graziosa bambina di dieci anni ancora invischiata nell’infanzia ma attratta da un complicato inevitabile stadio dell’esistenza: l’adolescenza .
In mezzo a questo delirio ci sei tu costretta a misurarti per la prima maledettissima volta con questo spazio emotivo temporale che arriva all’improvviso come un acquazzone estivo, con questa bambina che la sera è Hermione Granger e la mattina dopo Lord Voldemort.
“Tesoro ricordati che c’è un tempo per ogni cosa, non avere fretta di disfarti dell’infanzia, perché una volta che la lasci non torna mica più. Certo poi verrà un tempo affascinante ed intenso, ma l’infanzia finché puoi tienitela stretta”.
“Ma quando finisce l’infanzia?”
“… ecco…credo… quando non ti diverti più a giocare con le bambole”.
Come un gran colpo di fortuna, come un buon senso che non sai di avere, ma che emerge nei momenti di ansia da prestazione o di terrore puro, queste parole si sono insinuate dentro i dedali mentali della ragazzina, ancora in bilico tra quello che è e quello che sta diventando…almeno per un po’.
Poi si ricomincia daccapo. Alle richieste di passeggiate pomeridiane con le amiche, si aggiungono le uscite al cinema con i compagni (anche maschi?) e persino l’aperitivo.
Sono certa che, questa ragazzina con lo smalto colorato sulle unghie, che si sistema ossessivamente il ciuffo dei capelli, ma poi si dimentica di lavarsi i denti, che va in estasi per un bel paio di scarpe con i tacchi ma gioca ancora con il fratello di sette anni, che da grande vuole fare la biologa, l’attrice, la stilista, la veterinaria o la salvatrice eroica di animali strani sparsi per la terra, sia confusa da tutto questo divenire. Dentro e fuori di sé.
Sono certa che alcuni no, non sono il muro che arresta il cammino, ma la scala sulla quale inerpicarsi per imparare l’attesa.
L’unica cosa di cui non sono certa, è se da questa tempesta e passione ne uscirò indenne, con i nervi ancora saldi e la serena consapevolezza che anche io tanto tempo fa ho attraversato lo stesso guado di mia figlia. Ma soprattutto con la ferma percezione che no, io oggi non sono come era la mia mamma vecchietta, allora inflessibile professoressa di lettere. O invece, sono proprio come lei?

Tizianeda

Colloqui, professori e tante mamme

Venerdì scorso, nella scuola della ragazzina si sono svolti i primi ufficiali colloqui con tutti i professori. Tizianeda non poteva mancare a questo incontro con gli insegnanti della decenne, neofita frequentatrice delle medie.
Mentre era lì che attendeva, si è guardata intorno e soprattutto ha osservato e parlato con alcune mamme.

1. La mamma extraterrestre.

“Sono qui per i miei gemelli. Ho lasciato i due figli più piccoli a casa”
“Gli altri due!? Ho capito… quelli frutto della passione…eheheh!!”
“No, no tutti voluti. Voglio anzi avere il quinto figlio. La casa mi sembra vuota altrimenti”.
Tizianeda ha guardato quella donna con un tonto stupore, l’ha esaminata in ogni centimetro del suo corpo per rassicurarsi di avere davanti a lei un esponente del genere umano e non una pericolosa abitante di chissà quale destabilizzante mondo ultragalattico. Dopo essersi accertata che non era una super eroina con sintomatiche mutazioni genetiche, tipo branchie, piedi palmati, antenne retrattili, squame, pelle verde, corpo elastico o invisibile, lame rotanti e alabarde spaziali, ha iniziato ad inondare di domande la poveretta.
Così ha scoperto che la sua vita affollata è perfettamente organizzata, è perfettamente caotica, perfettamente incastrata, che è frutto della strategia precisa e consapevole di una ex bambina senza fratelli, da sempre desiderosa di spazi pieni e vocianti, che suo marito è proprio come lei. Tizianeda avrebbe voluto esaminare anche il marito.

2. La mamma cafona con aiuto.
Il problema principale dei colloqui di massa con i professori della scuola secondaria, è l’accaparramento del primo posto nella lunga sfiancante attesa. E poiché i professori, contrariamente alle maestre della scuola elementare sono tanti e dislocati per l’occasione in diverse aule sparse per l’istituto, l’accaparramento deve essere veloce e simultaneo. Questo Tizianeda lo ha scoperto una volta entrata nell’edificio, dopo essere arrivata davanti al portone sbarrato alle due del pomeriggio. Lo ha capito dopo un’ora e mezza di attesa all’addiaccio e dopo che, come la sfigatissima piccola fiammiferaia, si era congelata gli arti inferiori e superiori. Così una mamma ossigenata, fusonata, ingioiellata, ricoperta di uno spesso strato di colori sulla faccia, placida le spiegava che la sua attesa era stata inutile. “Non importa chi arriva per primo, ma chi per primo segna il proprio nome sui fogli affissi sulle porte delle aule” “ma io sono qui dalle due, sono la prima” “guardi ho un figlio anche in terza media e so bene come funziona, sono esperta”.
Talmente esperta che il figlio di terza media venuto con lei, alto magro e stramaleddetamente veloce, si è precipitato per le scale non appena i bidelli hanno dato il via. Mentre Tizianeda arrancava alla prima rampa, lui aveva segnato il nome della sua signora reverendissima madre su tutti i fogli degli insegnanti, gli stessi con cui doveva parlare Tizianeda.

3. La mamma super organizzata.

Tizianeda ha sempre provato una ammirata invidia, per le mamme hotuttosottocontrollo. Venerdì c’erano le mamme dotate di elenco con i nomi dei professori con cui parlare, lo schema delle aule e forse anche la cartina con le uscite di emergenza. Erano perfettamente informata delle strane regole di prenotazione, dotate di penna più ricambio per poter segnare i loro nomi sui fogli affissi alle porte.
Le mamme super organizzate hanno i capelli sistemati per l’occasione, sono discretamente truccate, correttamente vestite, ricordano i nomi di tutti i libri su cui studiano i figli, conoscono, perché li hanno calcolati, i tempi di sosta davanti ad ogni porta e prevedono con matematica precisione a che ora usciranno dal plesso scolastico. Se sono stanche non si vede, se vorrebbero essere altrove non se ne accorge nessuno, hanno già la cena pronta e forse la tavola apparecchiata.

4. La mamma che si aggirava confusa.
In mezzo a questo tripudio di donne, qua e là interrotto dalla presenza di padri, si aggirava una mamma confusa.
Una mamma che anche se era lì ad aspettare dalle due del pomeriggio è riuscita a dimenticare di scrivere il suo nome su alcuni fogli di prenotazione, così balzando agli ultimi posti. Una mamma che non aveva la penna con sé perché non ci aveva pensato prima di uscire frettolosamente da casa. Che si è accorta di avere le calze vistosamente sfilate su tutti e due i piedi. Che si è divertita a chiacchierare con le altre mamme in attesa e si è un po’ arrabbiata per le piccole prepotenze che la avviliscono. Ha incontrato le tante belle mamme conosciute cinque anni prima nell’aula di prima elementare di sua figlia e rivederle lì le è sembrato strano e malinconicamente sentimentale. E’ riuscita a parlare con i professori della ragazzina, anche se non con tutti perché su alcuni elenchi era l’ultima e doveva andare via. E’ andata a lavorare in uno stato di confusione mentale perché era davvero molto stanca .La mamma che si aggirava confusa non si sogna minimamente di avere cinque figli e neanche quattro ed a pensarci neanche tre, anche se quando vede bimbi piccini piccini le viene un sussulto nostalgico, che però le passa subito. Quel giorno la cena a casa non era pronta con anticipo organizzato e la tavola non era apparecchiata. A quelle ci ha pensato dopo, improvvisando.

Tizianeda

Il settenne…da sabato

Sette anni e nove mesi fa, eri una promessa che si ingrandiva dentro di me.
Poi sei arrivato corpo e pianto da un taglio cattivo sul mio corpo, seguendo le tracce lasciate da tua sorella.
Eri grande e sorprendentemente lungo. Ancora una volta la vita mi regalava un bambino bello, ancor una volta venivo presidiata da un amore stupito, questa volta da subito, senza pazienti giorni di attesa. Tua sorella aveva segnato una strada ferma per te, lei senza volerlo, lei senza volerti. Ti sei attaccato placido, con il tuo sguardo lucido ed una calma vorace, al mio corpo che precipitava dentro una stanchezza calda.
Mi hai invischiato in un amore denso che non so raccontare. Mi hai invischiato da quel giorno e mi invischi ancora, con il tuo modo strambo di essere, mio piccolo sbrindellato bambino. Tu che ti muovi magro e veloce con quei ciuffi allegri sulla testa. Con il tuo sguardo scuro sopra un sorriso che avvolge e confonde. Che racconti su fogli sparsi i tuoi mondi visionari, foreste luminose, bambini felici e volteggianti. Tu che fai volare anche le parole. Che dici di non annoiarti mai perché pensi, pensi sempre. Che ami le donne di un amore assoluto ché senza di loro, il mondo sarebbe triste. Che ti muovi e vibri dentro e fuori, e per questo sei libero, e nessuno mai potrà imbrigliarti con dita dritte e fredde. Sei innocente e lucido, come i poeti o i folli. Sei forte come un prestigiatore con le sue idee. Sei fragile come chi sente addosso gli odori del mondo. Sei appassionato e pigro. Sei distratto, a volte perso in chissà quale mondo.
Sei come la vita, come il suono ed il silenzio, come la bellezza che ogni giorno ti incanta e sperde.
Buon compleanno mio settenne, buon compleanno mio piccolo D.

Tizianeda

Due pittori, una casa, e quattro Pig Pen

“Secondo me dobbiamo farle verde chiaro, rosso chiaro, arancione e rosa”.
“Noi le vorremmo bianche”
“Nooo tutte bianche nooo”.
Per giorni la sera a tavola, i quattro elementi della famigliola si sono confrontati, ognuno con la propria personale idea cromatico-estetica.
Perché i due adulti sciroccati e temerari, hanno deciso che sì, era giunto il momento di dipingere le pareti di casa ormai consunte e sbrindellate, cambiare colore, occultare i graffiti furtivamente disegnati dal seienne, in un tempo non molto remoto.
Così i due maggiorenni poco sani di mente, hanno sequestrato per una settimana gli stessi pittori che sette anni addietro avevano dipinto le stesse pareti della stessa casa. Li hanno rinchiusi negli stessi 90 mq per sette terrificanti giorni, li hanno sfamati con panini con la mortadella, birre e caffè, costretti a fare prove su prove per scegliere il colore giusto. Per sette lunghi giorni l’ordinario caos familiare ha raggiunto le vette del non ritorno, dello sconforto puro, del machimelohafattofare.
In questo tumulto nevrotico lo sposo errante non ha smesso di errare, Tizianeda ad incastrare i vari pezzi della giornata, i bambini a girovagare impassibili e perfettamente a loro agio tra mobili accatastati ricoperti da teli e polvere.
La polvere, come un maleficio, si è anche impossessata dei vestiti delle facce e capelli dei quattro della famigliola tramutati in quattro sporchissimi Pig Pen.
Poi dopo la tempesta i primi accenni di sereno. Le stanze ad una ad una sono state ridipinte, i colori giusti scelti, anche grazie a qualche dritta provvidenziale soffiata da amichevoli occhi esperti. Tra i membri della famigliola si è giunti ad un equo compromesso che ha reso tutti felici e contenti.
I pittori sono stati liberati dalla prigionia, hanno smesso di mangiare pane con la mortadella e di subire i dubbi cromatici di Tizianeda. I quattro reietti della casa, due dei quali profondamente provati da questa esperienza, avranno bisogno di un bel po’ di tempo, prima di liberasi dalla polvere che ormai volteggia intorno a loro come un indistruttibile campo magnetico.

Tizianeda

La crema le lumache e l’infanzia

“Mamma la tua faccia puzza di olive”.
Questo mi ha detto la decenne baciandomi prima di andare a scuola.
“Sarà la crema alla bava di lumaca, che ho messo”
“Che schifo!!”
Ogni tanto Tizianeda usa questa crema stipata in un contenitore piccolo con dispenser, che quando lo premi fa “sghisc”, e sembra proprio una lumaca collerica disturbata nel suo vivere lento, che manda schiuma e bolle come un invasato.
“Ma come ti sembra?” mi ha chiesto una volta un’amica curiosa, tentata anche lei dall’acquisto.
Mi mette di buon’umore, e mi stimola i ricordi. Quando sento quello sghisc, che esce nevrotico dal contenitore, vedo tre bambini in un giardino di un paesino presidiato dagli uliveti. Vedo un cespuglio fitto e verde. Lì, dentro quel profumato bosco in miniatura, nascosti, asparagi e lumache, tante tantissime. Vedo una casa antica e ferma , vedo una fontana di pietra ed una grande scalinata che dalla strada scende giù fino al giardino. Vedo due donne placide, dai capelli bianchi ed ancora folti , sedute all’aperto con fili sottili ed uncinetti. Chiacchierano e contemplano beate quel tempo muto. Loro che non ci sono più, le zie, prozie, proprozie, amate da una grande famiglia sparsa per l’italia.
Le lumache si fanno prendere, rigirare, toccare dai tre bambini, da Tizianeda ed i suoi fratelli e sembrano serafiche per quella lentezza assegnata dalla natura, fino allo sbotto finale, fino alla schiumazza isterica, che rivela la loro vera natura collerica.
Ora questa natura collerica è tutta spalmata sulla mia faccia, in attesa di un miracolo. Fa effetto?
Boh!? Io spero di sì, anche le mie amiche attendono fiduciose. La decenne invece, dice che puzzo di olive e che sono sempre la stessa.
Male che vada mi rimangono lo sghisc che dispensa buonumore benefico anche per la pelle, e i miei preziosi ricordi.

Tizianeda

Sei mesi

“Ma perché, cosa ti manca figlia mia…hai una bella famiglia, un marito, dei figli, un buon lavoro, cos’è questa scempiaggine del blog?”.
Con questo trasporto entusiasta, la mamma vecchietta di Tizianeda, professoressa di lettere in pensione, un giorno, ha accolto la notizia ingenuamente rivelata, che la sua cara figlia secondogenita, la ex adolescente ribelle e contestatrice, avrebbe iniziato a scrivere le vicende tragicomiche della sua famigliola, in un posto potenzialmente accessibile a tutto il mondo informatizzato.
Da quel giorno sono passati sei mesi.
La mamma vecchietta, da molto tempo ormai rassegnata ad avere la figlia poco allineata, oggi guarda con discreta curiosità a questa “stranezza”.
Da quel giorno, Tizianeda nella sua stanzetta colorata, dove con sincerità racconta il suo mondo dentro e fuori, dove riceve visite, abbracci inaspettati, empatia, entusiasmo e racconti generosamente condivisi, ha provato una miscellanea di emozioni sorprendenti.
Tizianeda è qui per un’urgenza che le volteggiava dentro, perché scrivere le piace, le piace unire le parole, dare una forma alle immagini ed alle emozioni. E’ qui perché sa che il racconto stupito dell’ordinario può essere avvolgente. Perché ci sono i suoi figli che un giorno, se ne avranno voglia, leggeranno questa traccia amorosa. Tizianeda scrive perché è donna, e scrive anche per le donne. Perché sa che la leggerezza e l’ironia sono un bel modo per salvarsi. Perchè è esibizionista ed anche un po’ buffona.
Per questo ancora oggi continua a farlo. Perché quando libera i suoi racconti, sente le farfalle nello stomaco, come un insicuro innamorato. Perché scrivendo si guarda dentro. Perché prova una gioia confusa che ancora deve imparare a gestire e disciplinare. Perchè quando legge i commenti ai post, le viene la voglia di ballare il tip tap. Di cantare e battere le mani, per le mail divertite che le arrivano. Perchè le piace firmarsi Tizianeda, che era il modo amorevolmente unico con cui la chiamava la sua nonna Bianca di tanto tempo fa.
Per questo oggi Tizianeda vi dice grazie. Per il vostro sostegno, per l’entusiasmo, per la pazienza, per i vostri generosi passaparola.
Ma soprattutto a dirvi il suo grazie stupito, oggi è Tiziana.

Tizianeda