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Attraversarla ridendo

Ma la vita, come si può attraversarla ridendo? Questa terra capovolta che è imprevedibile, bizzarra, un boh, un mah e molti forse. Lei che si diverte con la nostra umanità imperfetta. Che a volte è un cane che ti morde e altre volte un gatto che ti fa ruffiano le fuse. Come si fa dentro i giorni e le ore faticosi, che ti camminano sulla pelle come una fila di formiche disciplinate che portano fino in fondo il loro lavoro. Cosa ti fa gonfiare il cuore per poi lasciarlo andare libero nell’aria? Dov’è il trucco, l’imbroglio, la risposta. Dov’è la soluzione dell’enigma. Dove? Dove sono le mani che allentano il nodo, che sfilano il peso legato al collo. Di chi sono? E poi e ancora, come si accoglie la parte di noi che rallenta il viaggio, chiude lo sguardo, ci fa arretrare, ci allontana dalle attese e dalle possibilità. Come renderla inoffensiva, provandone tenerezza? Come rendere lieve questo insieme di passi uno davanti l’altro.
Tizianeda ci prova, ci prova sempre nonostante se stessa, che è l’ostacolo più grande. Ci prova e afferra i passaggi inaspettati di bellezza che le fanno percorrere la strada senza sentire troppo il peso della gravità. I passaggi che dita altre le porgono o che cerca mettendo da parte le sue complicanze di pensiero.
Le dita sono i 90 mq che l’aspettano, sempre. Il luogo del ritorno, la casa dentro cui rifugiarsi, la terra per la quale sentire nostalgia nei giorni della lontananza. Le dita sono il mare vicino al quale passeggiare la mattina e appoggiare tra le onde i silenzi e le solitudini. Le dita sono le parole da mettere in fila per ricomporre il puzzle dei pensieri. Sono i progetti e i sogni, che un giorno ti svegli e dici: la faccio questa cosa qui anche se è folle e sembra irrealizzabile. Le dita sono un abbraccio proprio quel giorno lì a un passo da. Sono una parola che scalda e consola, detta da chi ti fa sentire compresa e mai giudicata. Sono quella donna con cui condividi un sogno, un progetto, un’idea e ci si dice e ci si racconta e si può anche non parlare e si attraversa ridendo la terra capovolta. Sono ogni gesto proteso, affettuoso, libero che non ti aspetti, perché ognuno ha il proprio tempo da sbrogliare. Sono uno sguardo, un bacio, una carezza, un’ immagine bella che ti appare all’improvviso. La luna piena, una storia, un invito a pranzo, le donne, gli uomini, un messaggio, le amiche che ci sono, le persone che vedi felici, un non ti preoccupare, un hai mangiato, hai dormito, un grazie, un prego, un per favore, un resta ancora un po’.
La vita ha molte mani, a pensarci. Basta soffermarsi quel tanto che basta. La vita ha molte dita che aspettano soltanto di toccarci.

Tizianeda

Sei agitata?

“Sei agitata?”
“Per cosa?”
“Per lo spettacolo”
“No … cioè ancora no, non mi sembra. Non ci penso. Sono soprattutto contenta”
Ho il copione sul ripiano della cucina. Ripasso le mie battute, mentre sbuccio cipolle, preparo la cena, vengo interrotta da urgenze improcrastinabili dei minori e dal pensiero del frigo vuoto e dal telefono che squilla e dalla mamma vecchietta che arriva, da un correre da qualche parte (si corre sempre da qualche parte), da una ragazzina che dice e chiede. Meglio così. Lo spettacolo è un incastro come tanti nelle ore. Non sentirò mal di pancia, tachicardia e tremarella pensando al momento in cui sarò sulla scena con Eleonora a raccontare di vita minuta, quotidianità, donne e prodigi. Ad alternare serietà e cazzeggio come se questo fosse l’unico modo possibile di stare tra le cose. A entrare come Alice nel Paese delle Meraviglie dentro un micro mondo che si chiama “Ho attraversato ridendo la terra capovolta”, costruito estraendo le parole da questo blog. Le parole, che sono la fune sulla quale salire e oscillare, senza troppo pensare all’abisso che c’è sotto. No per ora non sono agitata. Anche se raccontiamo della vita che a volte agita, lei sì, e affascina e ti rapisce con attimi di inaspettato furore, sempre. Questa vita non sempre a fuoco da dire e sbrogliare con occhi femmina. No non sono agitata. Mi sento densa, se così si può dire. Con uno sguardo denso come il respiro. Con una sfera di cristallo tra le mani, fragile e magica. Con una fatica immane che il corpo mi rimanda, con la sensazione che devo trovare nuovi e solidi equilibri dentro di me.
E quindi no non sono agitata. Almeno non ancora.

P.s.: “Ho attraversato ridendo la terra capovolta”, per chi non lo sapesse è lo spettacolo, che Eleonora e io stiamo portando in giro. Questo fine settimana ed esattamente venerdì 29, sabato 30 e domenica 31 gennaio sarà al Teatro della Girandola della nostra città sbilenca. La domenica è una data aggiunta in questi ultimi giorni per le innumerevoli richieste. Ed è stato come sentirsi riempite di baci affettuosi.
Vi aspetteremo sorridendo.

Tizianeda

Motocicletta

“Tizianeda, che dici se la faccio riparare e ricominciamo a usarla?”
“Ma sei sicuro sicuro? Sono passati tanti anni … più di quattordici … vabbè se ci tieni, in realtà sarebbe figo risalirci come ai vecchi tempi, prima del delirio”.
Quando lo Sposo Errante, che ancora non era errante e neanche sposo, ha conosciuto Tizianeda, si aggirava per le strade con una motocicletta Enduro. Che è uno di quei mezzi di locomozione a due ruote, molto sportivo e molto alto. Se sei agile, figa, scattante, con i capelli al vento e con le gambe lunghe lunghe ci sali con la grazia di una gazzella. Se sei Tizianeda ogni volta prima di accomodarti sul sellino, ti concentri torva come se dovessi affrontare un duro allenamento militare. Quando lo sposo allora semplice corteggiatore e poi fidanzato andava a prenderla sotto casa, il quartiere si affacciava sui balconi e stava sugli usci che davano sulla strada, per assistere allo spettacolo della vicina che si arrampicava sulla motocicletta. Tizianeda inspirava ed espirava, malediceva i tipi della bottega accanto che uscivano sulla strada per assistere alle show, poggiava sempre il piede sbagliato sul pedalino sbagliato, affondava le unghie sulla spalla del centauro, faceva oscillare pericolosamente la motocicletta, e si accomodava. Poi si partiva verso mete e luoghi, lei cingeva il corteggiatore, appoggiava le sue forme alla schiena di lui e si sentivano entrambi felici. Hanno continuato a farlo, anche quando lui non andava più a prenderla, perché ormai la casa era diventata unica per entrambi. Poi però, la pancia di lei ha iniziato a crescere crescere e arrampicarsi su quella motocicletta era diventato impossibile e l’unica morbidezza che poteva appoggiare alla schiena di lui era un ventre tondo come una mongolfiere. Così la motocicletta è stata riposta in un garage e coperta da un telo. Tizianeda tra le braccia e appoggiata alle sue forme ha iniziato a tenere una bambina. La motocicletta nella solitudine caotica del garage, ha aspettato paziente e forse rassegnata. Ogni tanto in casa si parlava di lei, come dei tempi andati, come dei bei ricordi. Poi la folgorazione dello Sposo nostalgico, al quale non si può dire di no.
Ora la moto è in officina, come una regina. Tra qualche giorno sarà riconsegnata allo sposo. Tra qualche giorno Tizianeda dovrà provare a risalirci. A guardarla divertiti sul balcone, ci saranno una ragazzina di quasi quattordici anni e un ragazzino di dieci. Poi lei cingerà la schiena di lui, appoggerà le sue forme e chiuderà gli occhi, per cercare sensazioni di un tempo lontano.

 

 

Tizianeda

La risposta inesatta

– Mamma come si chiama quella cosa lì che ti batte forte il cuore all’improvviso?
– Si chiama amore, tredicenne.
– Mamma, smettila! Dammi la risposta giusta.

La risposta giusta è “tachicardia”, tredicenne. La risposta inesatta è “amore”. Perché l’amore è inesatto e sfalsato, in questa nostra esistenza bizzarra. E prima della risposta “amore”, c’è sempre una domanda sbagliata o inesatta anche lei. Le domande hanno la pretesa di definire e l’amore, amore mio, imparerai che definire non si può. O forse è lui la domanda e per questo non può essere contenuto in una risposta. Però il cuore c’entra con l’amore. Quando io vedo te o tuo fratello e vi guardo che voi non mi vedete ché siete assorti in qualcosa, per esempio, il cuore mi batte forte. E quando mi emoziono, il cuore accelera la corsa come se si volesse staccare, sussulta attirato da un oggetto misterioso. Poi ho capito perché il cuore impazzisce quando si ama. Perché ogni cuore attrae, contiene, custodisce. E così i battiti si moltiplicano. E non ti sto parlando solo degli uomini, che un giorno incontrerai e che so faranno scalciare il tuo cuore di donna. Parlo del mondo fuori e della grazia che te lo farà sentire. Parlo del tuo universo dentro, che dovrai curare come un giardino segreto, di cui far percepire la freschezza dei suoi profumi. Però non chiedermi mai cosa sia l’amore, perché io ancora non l’ho ben capito. Mi sembra di intuirlo a volte, di sfiorarlo, ma rimane sfocato, come i sogni della notte remota, che sei sveglio e cerchi di ricomporli. Però sono certa, che pur non potendolo definire, se tu non dovessi più sentirlo, te ne accorgeresti. Sarebbe come un silenzio che all’improvviso diventa rumore, una solitudine scomposta, una corrispondenza interrotta. Per questo ti dico, custodiscilo dentro di te, qualsiasi cosa diventi la tua vita. Apri le braccia, amore mio. Diventa tu la risposta inesatta.

Tizianeda

La consistenza dell’amore

In questi giorni:
– Un castello con due torri di migliaia di pietre color tortora e il desiderio della materia di catturare i colori mutanti del cielo. Vederla diventare giorno, ombra, tramonto, notte, viola elettrico che la fa emergere dal buio. Salirci in un giorno di sole, fino agli orli della cima e vedere il mare come mai prima e pezzi di città e la montagna di fuoco dall’altra parte e le lontananze e i silenzi dentro e fuori di te.
– Un labirinto sotterraneo profumato di carta e parole che ti ci puoi perdere, ma non lo fai perché sai dove devi andare e con chi parlare. Dentro una stanza sedersi e dirsi nella mente: “ma allora è vero!”.
– Due amiche che vengono per poche ore da una città altra e raggiungerle da Zara. Rimanere prigioniera per un tempo biblico in quell’edificio immenso, perché le amiche stanno provando dentro i camerini tutto il negozio. Stare con loro in leggerezza. Rimanere incantata davanti allo specchio di Zara e usarlo come psicoterapia dell’ego. Convincersi che veramente sei alta un metro e settanta e hai le gambe lunghissime. Meditare di coprire con un drappo scuro tutti gli specchi di casa. Meditare di tornare da Zara almeno una volta alla settimana per ripetere la terapia.
– Andare in radio, che è uno dei luoghi più fighi del mondo. Scoprire che sei in diretta e che c’è anche la telecamera che ti riprendere. Non preoccuparsi, perché sei un’età in cui tutto ha un sentore leggero. Andarci con la donna con i capelli color della terra e gli occhi da aliena, ché insieme portate in giro uno spettacolo tratto dal blog e che si chiama “Ho attraversato ridendo la terra capovolta”. Cazzeggiare prima di andare in onda, cazzeggiare quando sei in onda e continuare a farlo anche quando finisci di essere in onda.
– Il decenne che scrive un testo storico, ma inventato, che si intitola “Sopravvivere a Nerone” in cui il tiranno – quello con un grave e irrisolvibile complesso di Edipo e piromane – appare oltremodo stressato perché non riesce a uccidere un certo Daniele nonostante i reiterati incendi, attentati e assalti ai suoi danni, da parte dell’esercito di Nerone. Alla fine l’imperatore si rassegna e lascia in pace Daniele fino alla fine della sua vita. Capire che per sopravvivere alla malvagità bisogna essere abile nella corsa, nell’arrampicata e anche nella lotta.
– La quasi quattordicenne che va a scuola con addosso il maglione di suo padre. Vedere entrambi felici per questo oggetto portato in giro dal corpo di una fresca ragazzina che prende le misure di sentimenti arcani, partendo dal primo uomo che l’ha presa tra le braccia. Pensare che noi donne siamo fatte così. Indossiamo la bellezza intima della vita come il profumo che abbiamo scelto per la nostra pelle, spruzzato dietro le orecchie.
– Il sugo al pomodoro di nonna Santa Gina, che da casa sua giunge nei 90 mq custodito da un contenitore in vetro. Prenderlo tra le mani e pensare che il sugo deve avere un peso specifico elevato. Togliere il coperchio e sentire un profumo di buono. Immergere un pezzo di pane dentro la densità della salsa, che piano si lascia raccogliere dalla mollica bianca. Dirsi: “ecco è questa la consistenza dell’amore”. Addentarlo questo amore, a occhi chiusi.

Tizianeda

Punto e a capo

Punto. Tizianeda ha messo un punto. Un punto a qualcosa su cui lavorava da un po’ di mesi. Da prima dell’estate. Nulla di particolarmente impegnativo in fondo, se non per la necessità di incastrala tra i movimento ondosi delle giornate, se non per l’ultimo tratto di questa avventura, in cui ha dovuto dare voce a ricordi muti e in bianco e nero. Quando ha segnato questo punto, ha provato una certa commozione, una malinconica tenerezza, un affetto benevolo che si prova ogni volta che si lascia andare qualcosa o qualcuno che ti ha accompagnato per un tratto importante di strada. E ora? Ora c’è l’”a capo”, che nei dettati delle maestre a Tizianeda bambina piaceva sempre tanto. “Punto e a capo” e si scendeva di un rigo, lasciando lo spazio che tanto creava movimento alla monotonia della pagina piena di lettere fitte. Un bel respiro, un attimo di pausa e si ricominciava a riempire il foglio bianco. E se in tutto quello scrivere interminabile, dolevano il polso e le dita che strette sorreggevano la penna, non c’era molto tempo per una pausa. Il tempo di una smorfia, di un movimento rotatorio del polso per dargli sollievo e poi ancora giù a scrivere. A stare attenta alla storia che si materializzava con stupore sul foglio, a stare attenta a non commettere troppi errori, a non dimenticare tutte quelle regole che la grammatica ti chiede di applicare, tra le lettere e i loro suoni musicali. Si impara da subito a diventare funamboli, a sorreggersi sul filo delle storie che un passo alla volta chiedono di essere vissute. Si impara dal vuoto bianco da riempire o da lasciare a un tratto sospeso. Giusto il tempo di un respiro, di una smorfia, di un attimo di una pausa. E poi si ricomincia.

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Tizianeda

Lasciar fare

– Ogni tanto mamma, bisogna riposarsi, vero? Non fa male.
– Sì ogni tanto sì, decenne, ma avrei preferito non avere questo febbrone antipatico.
– Non ti ho mai vista a letto per così tanto tempo … se ti abbraccio mi puoi contagiare?
– Non so, meglio non rischiare … che fai?
– Ti tocco la fronte per vedere se hai la febbre…
– Quindi?
– Hai la febbre, mamma. Quando guarisci ti abbraccio, non ti preoccupare.
– Grazie amore mio.
Tizianeda il due gennaio ha avuto un febbrone, come non le capitava da tanto tempo, che l’ha costretta a letto in uno stato allucinogeno. Ogni tanto un membro della famigliola si avvicinava al capezzale, si accertava che fosse viva per poi ritornare alle proprie faccende. Qualcuno le dava un bacio, qualcun altro una carezza, c’era chi le portava una tazza di tè e c’era chi in continuazione le toccava la fronte per misurare la temperatura corporea, in attesa della guarigione e di un abbraccio. Tizianeda ha lasciato fare. Le attenzioni sul suo corpo caldo e inerme le sono piaciute tanto. Anche se fremeva per le tante cose da fare, perché lei all’ozio, benché sia una persona tendenzialmente pigra, non è avvezza. Ma sentirsi amati, senza far nulla, è davvero riposante. Il giorno prima era stata con la famigliola dalla cugina tacco 12, in una città altra. Anche lì si è lasciata avvolgere dall’affetto e ha lasciato fare. Si è lasciata abbracciare, baciare, sfamare e ha lasciato che la cugina le riempisse in continuazione il bicchiere di vino. La cugina cucinava, Tizianeda la infastidiva e il bicchiere era sempre pieno.
Questi giorni di festa a pensarci sono stati così. Tizianeda ha lasciato fare a chi le vuole bene. Un messaggio, una carezza, un regalo inaspettato, un bacio, le risate, una confidenza, un sorriso, un invito, un augurio, un abbraccio, un bicchiere di vino pieno e molto altro ancora.

P.s.: stamattina Tizianeda non aveva più febbre. E’ stata abbracciata a lungo. Lei ha lasciato fare.

Tizianeda