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Si racconta, nella mia famiglia, che la nonna Ines fosse mezza donna e mezza santa. Come le sirene, un po’ foreste, un po’ onde.
Si racconta, che vedesse quello che gli altri non vedono mai. Tipo la Madonna, le luci nelle stanze buie, e un santo che si chiama Antonio. Ora questo Antonio che in vita era santo, quando lei gli chiedeva qualcosa, pare che l’ascoltasse. Non sempre però. Perché, si dice, che i santi, per un motivo che nessuno sa, non possano raddrizzare sempre le cose storte. Anzi, pare, che spesso nella vita, ciò che è dritto all’improvviso si torce e tu, non puoi farci niente e non c’è santo che tenga. Così per la nonna Ines, come per tutti. Ma lei, non si arrabbiava mai con Antonio e la vita le piaceva uguale, nonostante gli schianti improvvisi, quello che finisce e non torna più, la fatica, i cassetti da risistemare, le ore allagate, l’incomprensibile delle parole, i giorni che non sono accaduti e quelli che sono accaduti troppo. E se proprio si sentiva triste, preparava una torta, di quelle che lei non poteva mangiare, per colpa dello zucchero che le consumava il cuore, anche se le mangiava uguale. Ma tanto il suo cuore, pure smangiucchiato e dolorante, aveva l’ostinazione. Così, tutto ammaccato com’era, amava. Dalle crepe, dai battiti scoscesi, dalle capriole, dalle corse di gambero, dai giri di altalena, dal battere dei piedi. E non si arrabbiava mai con il santo di nome Antonio, che pure a lui voleva bene, anche se arreso e impotente davanti al dolore dei vivi, e forse, proprio per questo, gliene voleva di più.