Ago
Quest’anno in montagna Agnese e Domenico, i figli, non son venuti. Il ragazzo ha dormito una notte con i suoi amici, che hanno piantato le tende in giardino. Lei mai, per quell’amore misterico e protettivo per le gatte e perché non le andava. Va bene abbiamo detto, ma abbiate cura della casa, non vorremmo trovare Cernobyl al rientro.
In montagna andiamo in agosto, ormai da più di dieci anni. Stiamo in una casa con un ampio giardino e gli alberi alti che ti fanno respirare. Erano piccoli il primo anno, noi più giovani. Non mi dispiace che non siano venuti, mi interessa che sappiano abitarsi dove decidano di stare e poi ho cucinato molto meno. Quando torno lo so cosa faccio, li annuso come sempre e li fisso di nascosto sentendo la nostalgia di quando andranno loro via da casa e non noi per i giorni di vacanza. Finché li so tra le stanze di sempre, quelle in cui sono arrivati minuscoli e con gli alfabeti da imparare, non sento lo strappo necessario.
Che tanto la vita è tutto un separarsi, ma non ti abitui mai del tutto. Anche dalla montagna mi separo quando vado via, per la necessità dei giorni a venire. Peccato che non si possa stare a lungo in un luogo che ti fa venire gli occhi grandi, amare il silenzio e abitare con disinvoltura la solitudine. Peccato che ci sia sempre un richiamo di altrove. Oppure è proprio questa la grandezza, questa possibile oscillazione tra i mondi, questo pulsare di cieli stellati sotto pelle, mentre navighiamo in cerca di senso.
Quando andrò via da questo posto di lontananza saluterò gli alberi, li annuserò come faccio con i miei figli, come con tutto quello che cresce nello scricchiolio di ossa, ne sentirò la nostalgia. Poi toccherà ai giorni, assolvendo al compito assegnato, riprendersi la loro rivincita nella spartizione del tempo. Spero mi restino gli occhi grandi.
{Nella foto autoscatto con acconciatura montanara sopra di me e menefottismo estetico dentro di me}
Tizianeda